Ostriche & Bollicine Ferrari a Lugano – Ristorante Al Faro
UN FARO PER OSTRICHE E BOLLICINE
Un indirizzo sicuro per il pesce di mare è il Ristorante Al Faro di Lugano Paradiso saldamente in mano a Loredana Pia Bordogna
Il ristorante AL FARO fa parte del Gruppo Bordogna, ora ridenominato Futura Ristoranti sagl, gestione alberghi & ristoranti, di quel famoso e intraprendente Fausto Bordogna, bergamasco di origini, con attivo oggi diversi locali ticinesi: Le Fontanelle (ristorante/pizzeria) e Ametista (Ristorante & Musica) a Genestrerio, La Palma a Bissone, Lo Svizzero a Capolago e Il Cantinone in Piazza Cioccaro a Lugano. Riaperto un anno fa, dopo alcune migliorie, troviamo in cucina uno chef già noto nel gruppo per aver lavorato a suo tempo a Capo San Martino: Pierfranco Abondio, coadiuvato da Christian Provezza e ancora da Manolo ed Enrico.
Qui Al Faro si viene per gustare pesci di mare, i più freschi del Cantone, poiché gli arrivi sono giornalieri sia dal Mercato Ittico di Milano, che, come si sa, è il più importante polo di vendita dei pesci che arrivano di notte da tutta l’Italia, che come pure dal mercato di Zurigo (ostriche francesi e aragoste) che vengono tenute poi in vita in vasche con riciclo continuo di acqua. La vista del pesce in mostra su ghiaccio alla clientela è una garanzia di assoluta qualità.
La clientela de Al Faro, fatta anche di molti italiani, sa di potersi fidare e il locale, specie di sera diventa ritrovo di buongustai che vengono anche per i prezzi davvero accattivanti poiché contenuti nel ricarico. Il che non è un male per una Lugano esageratamente cara nei ricarichi perché così il cliente è invogliato a cambiare più vini in abbinamento ai piatti.
(Riccardo Lagorio e Beat Ammann)
Non ci attardiamo ad elencare le specialità che vanno dalle ostriche alle aragoste e agli astici per passare ad antipasti deliziosi e primi sempre di mare e secondi con orate, gamberi, pesci alla griglia e branzino in crosta di sale marino grosso. Se poi volete un piatto di carne potete scegliere tra una costata alla fiorentina di carne certificata svizzera, oppure petto d’anatra agli agrumi o ancora lombatina di agnello gratinata alle erbe fini. E se poi vi va di gustare un pezzo di formaggio, non abbiate timore o paura a chiederli; la scelta è pur valida con selezione d’alpeggio ticinesi e di buoni italiani e francesi. La chiusura in bellezza con i dessert è d’obbligo. Si può deliziare il palato con: sfogliatina di mela calda con gelato al caramello oppure con semifreddi e ancora con pesche marinate al vino rosso o con frutti di bosco a piacere. I sorbetti, fatti giornalmente, sono legati ai frutti stagionali.
Lo scorso 26 Novembre si è tenuta una cena tematica: Ostriche & Bollicine” in collaborazione tra l’azienda “LA PIAZZETTA DEL PESCE – I Love Ostrica” di Bergamo e l’azienda importatrice e distributrice di vini italiani e spagnoli HAUSTORES di Beat Ammann.
A parlare di ostriche è Luca Nicoli, titolare di I LOVE OSTRICA e il giornalista enogastronomo Riccardo Lagorio, che ha davvero incantato gli ospiti presenti con una “sua”perfomance sulla crescita, lavorazione e presentazione in tavola delle tre ostriche selezionate per l’evento.
Nel menu presentato trovate la successione delle ostriche e dei piatti serviti con gli abbinamenti dei vini. Di seguito presentiamo una relazione completa sulla “Magia delle Ostriche”. Un incontro che di certo sarà ripetuto nei primi mesi del prossimo anno 2016. Buona lettura e buona visione con foto scattate durante la gustosa serata.
Il fascino indiscreto dell’ostrica
Le qualità organolettiche dell’ostrica, così come accade per il vino, dipendono dall’ambiente di coltivazione. Con il marchio “I love Ostrica”, Luca Nicoli, CEO de La Piazzetta del Pesce di Bergamo, pescheria on-line di alta qualità, promuove in terra nostrana proprio una cultura del pregiato mollusco che ne esalta il terroir.
“L’ottimista è un uomo che, senza una lira in tasca, ordina delle ostriche nella speranza di poterle pagare con la perla trovata”. A 25 anni dalla scomparsa di UGO TOGNAZZI, l’attore cremonese tra i massimi interpreti della commedia all’italiana, protagonista de La grande abbuffata di Marco Ferreri, di lui rimane la memorabile scena della gara con MARCELLO MASTROIANNI a chi mangia più velocemente ostriche. E la frase iniziale, che contribuì a rendere ancora più seducente e intrigante il ruolo delle ostriche nella gastronomia italica, per mezzo di una sferzata di ironia che solo i grandi umoristi riescono a confezionare.
L’ostrica ha rappresentato cibo ricco, talvolta proibitivo, per buona parte della popolazione dell’opulento Occidente sino a quando non si è recentemente affacciata nei supermercati. Cibo che si ama alla follia o alla follia si detesta e che si è connotata per il fascino voluttuoso che lo circonda sin da epoche andate. Nel mondo antico simbolo di prosperità, di rinascita e fertilità, le conchiglie erano infatti legate al culto pagano della riproduzione. Forse in questa lontana traccia risiede l’idea di collocare l’ostrica tra i cibi stimolanti le attività amatorie. Eppure, benché già i Romani fossero dediti all’allevamento di ostriche e le considerassero una ghiotteria tanto da creare una moneta, il denarius, che doveva avere il peso di un’ostrica, fino a metà Quattrocento non si trovano specifiche tracce sulle virtù afrodisiache delle ostriche. Così bisogna arrivare in piena epoca votata alla Scolastica aristotelica e connotata dai conflitti tra corpi freddi e caldi, secchi e umidi: nel 1576 il medico bresciano BARTOLOMEO BOLDO riferisce che le ostriche “sono fredde e umide e generano flemma e un certo sugo viscoso e salso e ventoso e per questa ventosità sono incitative alla libidine…Se alcuni ne mangiano, questo fanno per dar dilettatione alla gola e non per nutrimento”.
Nello stesso periodo un altro medico, IPPOLITO SALVIANI, sconsiglia papa Giulio III dall’assumere le ostriche in quanto possono causare malinconia e incubi notturni. Passeranno circa settant’anni e BALDASSARE PISANELLI scriverà nel suo Trattato della natura de’ cibi et del bere (1649) che l’ostrica ha il vantaggio di avere “un certo succo salato, che muove il corpo più gagliardamente di tutti gli altri testati, risveglia l’appetito e accresce il coito”, ma poiché difficile a digerirsi si apparecchia “con pepe, olio e succo d’arancia o aceto, dopo che è cotta sulle braci”, avvertendo che “non si ha da lessare”.
Ai giorni nostri si è cercato di ricollegare il presunto fervore che deriva dall’assunzione di ostriche all’alta percentuale di zinco che favorisce la funzionalità degli ormoni e del testosterone. Anche in virtù della profonda specializzazione gastronomica, da anni in Francia si distinguono le ostriche sulla base del territorio di provenienza e delle modalità di allevamento. La tradizione transalpina viene da lontano: fu infatti NAPOLEONE III BONAPARTE nella prima metà dell’Ottocento a rendersi conto della penuria di ostriche causata dall’eccessiva domanda a livello europeo e dalla mancata applicazione delle regole di sfruttamento marino, condotte che stavano impoverendo gli allevamenti e le coste.
(Ostriche Tzarskaya)
L’imperatore, amante del pregiato mollusco (al pari dello stratega che lo fece definitivamente affondare, OTTO VON BISMARCK), affidò al celebre biologo VICTOR COSTE la ricerca della soluzione al problema delle ostriche. Coste visitò il lago Fusaro, dove Ferdinando IV re di Napoli, devoto alle ostriche tanto da volerle personalmente crescere e vendere al mercato del pesce, aveva posseduto un proprio allevamento. I fondali e le acque salmastre del lago Fusaro che lo caratterizzano, sono ricchi di plancton. Probabilmente fu proprio Napoleone III a indirizzarlo sul lago Fusaro, poiché il fratello maggiore di Napoleone I era pure stato re di Napoli tra il 1806 e il 1808. Tornato in patria Coste applicò alcune delle considerazioni che aveva osservato sul lago di Fusaro, a iniziare dalla costruzione di un complesso sistema roccioso intorno al quale si erano accomodate fascine di legno per la dimora delle ostriche.
I love ostrica
Dal tempo delle rilevazioni di Coste, e malgrado le disgrazie sopravvenute alla guerra franco-prussiana, la Francia è senz’altro il più importante produttore mondiale di ostriche. Così, solo recentemente le ostriche sono divenute oggetto di disquisizioni e distinzioni relative alle diverse categorie anche da noi. In particolare LUCA NICOLI sta da qualche anno introducendo una cultura dell’ostrica collegata alle differenze organolettiche dipendenti dall’ambiente di coltivazione. Tanto profondo il suo apprezzamento per l’ostrica d’essersi anche impegnato a creare un marchio che non lascia spazio all’immaginazione: I love ostrica.
«I Francesi sono stati molto bravi a legare le ostriche al territorio, distinguendo tra Fine, Special o Pousse. Sono sempre molto ricercate le Belòn, ostriche piatte affinate nell’omonimo fiume, ma si stanno sempre più facendo strada nomi delle ostriche che fanno riferimento al modo con cui sono state confezionate o alla famiglia di ostricoltori». Qualcosa di simile a quanto accade da decenni nel mondo del vino, insomma. Nomi ormai entrati a far parte delle conoscenze comuni sono ad esempio Fine de claire o Spéciale de claire mentre i palati più allenati potranno riconoscere come eccelsa la Pousse en claire. Innanzitutto la claire. Un tempo vasca scavata nei terreni argillosi utilizzata per trarne sale mediante l’evaporazione dell’acqua marina, da qualche decennio viene utilizzata come bacino di finissaggio per alcune tipologie di ostriche. Vi rimangono in media per 4 settimane ed il sistema è particolarmente diffuso nell’area di Marennes d’Oléron, che vanta anche l’unica IGP francese in fatto di ostriche. La famiglia Lamaison (www.huitres-lamaison.com) attua il finissaggio di ostriche dal 1974 e Cédric, quarta generazione dedita a questa attività, è un appassionato ostricoltore da cui Luca Nicoli, attraverso I.WAI Food (www.iwaifood.com; si veda l’articolo di ELENA BENEDETTI “I.WAI Food, ostriche à la carte”, in IL PESCE n. 5/2015 pp. 52 e segg.), acquista buona parte delle ostriche che servono per i corsi di avvicinamento alla degustazione comparata.
Accanto al fabbricato di La Tremblade si possono scorgere numerose vasche, le claires, e da lì per mezzo di natanti dal ventre piatto e lungo dei canali che durante la bassa marea vanno in secca, è facile accedere all’estuario della Seudre, luogo dove le maree sono numerose e abbondanti e le larve vengono raccolte su apposite tegole per essere accresciute nei primi 18 mesi di vita in apposite colture in Irlanda. A poche miglia, in mare, di fronte all’isola di Oléron, si trova il Parco ostricolo dove vengono invece portate a crescita adatta a scopi commerciali le Grand cru. «Le ostriche Fine de claire vengono allevate in numero massimo di 20 per metro quadrato e sono apprezzate da coloro che amano un sapore equilibrato, iodato ma privo di picchi gustativi», ci dicono. Le Spéciale de claire godono invece di una polpa più croccante, un gusto che vira sul minerale grazie all’apporto di fitoplancton che è generato dall’entrata nelle insenature delle correnti atlantiche ricche di sostanze organiche. L’ostrica è di colore avorio e il bilanciamento tra gusto salato e dolce risulta gradevole, spiccato il retrogusto iodico e minerale, assai prolungato. Le ostriche Pousse en claire vengono affinate in numero variabile tra 3 e 5 per metro quadrato e rappresentano il vertice della piramide della categoria en claire. In questo caso l’affinamento dura almeno quattro mesi, ma spesso si arriva a otto, e le conchiglie hanno un aspetto rugoso con linee bianche e nere orizzontali. L’ostrica che se ne trae ha una polpa molto croccante, il sapore di iodio è deciso, il retrogusto dolce di nocciola e frutta secca, prolungato sotto un’ombra di piacevole astringenza. Le ostriche Gran cru si affinano in maniera naturale nella baia di Ronce-en-Bains, custodite in gabbie nel parco ostricolo a 30 cm circa di profondità su tavole di ferro. Le maree cullano queste gabbie e le ostriche si cibano del plancton naturale dell’Atlantico realizzando una stretta similitudine tra terroir dell’ostrica e terroir del vino, dove l’alternanza di alte e basse temperature, pioggia e sole rende unico il prodotti finale. Inoltre, ogni 4 settimane si provvede a girare manualmente le gabbie. Quando raggiungono la taglia commerciale passano in affinamento per 48 ore in vasche dove l’acqua depurata con raggi UV permette di allontanare ogni rischio di contaminazione.
La Gran cru si concede con esiti di ampia e prolungata sapidità, note iodate persistenti, sottile astringenza finale e piacevole retrogusto ammandorlato. «A queste 4 macro-categorie di ostriche ciascuna Casa applica piccoli o grandi accorgimenti. La mia proposta è di circa 30 varietà: ogni cassetta di legno è unica e irripetibile proprio come una bottiglia di vino, perché allevata ed affinata da un diverso ostricoltore», prosegue Luca Nicoli. Ecco: il vino! Non potrà non essere, a questo punto, italiano. Tra le birre, quella rossa elaborata sull’isola d’Oléron, Bière des Naufrageurs, non ha concorrenti.
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Ospiti dell'incontro
La Piazzetta del Pesce Srl
Telefono: 347 0946020
RISTORANTE AL FARO – Riva Paradiso, 36 – 6900 Lugano/Paradiso Tel. +41. (0)91. 9809928 – alfaro@futuraristoranti.com –www.futuraristoranti.com
Servizio a cura di Rocco Lettieri
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I testi sulle ostriche sono di Riccardo Lagorio
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