Ferdinando Giacomo Favara …. la storia continua

Pantelleria – Khamma – Cantina di Donnafugata

Intervista a Ferdinando Giacomo Favara

Figlio di Josè Rallo e di Vincenzo Favara

Caro Ferdinando noi ci siamo incontrati qui a Pantelleria nel 2006 per l’inaugurazione della nuova cantina, proprio qui a Khamma e ci fu una grandissima festa. Dopodiché io ho avuto modo di incontrarti ancora in un momento non tanto felice, a Marsala per la dipartita del nonno Giacomo Rallo ed eravamo nel 2016. Quindi ti ho perso per tanti anni ed ora ti ritrovo in un questo contesto di vendemmia a Pantelleria. Ma cosa ci fai qui nelle vesti di un “contadino pantesco” invece che essere in vacanza come tutti i giovani della tua età?

Beh! diciamo che il Covid-19, questa pandemia stranissima che nessuno si aspettava, ha contribuito in buona parte alla scelta di affrontare uno stage, una esperienza pratica nel mondo del vino e nella pluralità di Donnafugata. Questo blocco a livello nazionale mi ha aperto gli occhi e dalla scuola sono rientrato a casa e ho chiesto esplicitamente alla mia famiglia di poter iniziare a mettere le mani in pasta ed iniziare a vivere il vino in prima persona sin dalla parte più umile, dalla parte più vera e più saggia, cioè da quell’arnese che qui chiamano “sette”, dalla sua strana forma, cioè dalla zappa.

Io stavo facendo un percorso Universitario di marketing a Verona, nella regione del Veneto, regione dove il vino ha una grande influenza, dove quindi potevo dare sfogo alla mia passione per questo mondo. Diciamo che la mia mente però aveva bisogno di uno stimolo differente rispetto a quello universitario e quindi cercavo la praticità, un ritorno veramente alla natura per poter trovare un contatto di purezza, di umiltà più vera verso il nostro vino di Sicilia. Rientrato a Marsala ho fatto la mia quarantena poiché il presidente Conte aveva dichiarato zona rossa tutta l’Italia ed ho messo veramente le mani in pasta sfidando un po’ la mia famiglia con questa richiesta di ritorno alle origini. Ĕ innegabile che c’è stato qualche sussulto interno da parte di tutti i miei familiari. La mia decisione pur essendo stata molto criticata, allo stesso modo poi è stata accettata e quindi come dicevo ho iniziato a lavorare nelle vigne di Marsala, nella nostra città, dove c’è la nostra sede amministrativa e dove abbiamo pure dei vigneti di vitigni autoctoni come il Grillo, il Catarratto, l’Inzolia, il Nero d’Avola e zappa alla mano ho iniziato veramente dal basso la mia prima esperienza da contadino/vignaiolo.

Ed eravamo a fine Marzo e ci sono rimasto sino a fine Maggio. Quindi con la piantumazione delle barbatelle di Grillo ho avuto questo primo impatto deciso e abbastanza crudo con la realtà del Vignaiolo, cioè sveglia alle 5 di mattina, cambiando tutto il mio ritmo di vita perché poi si cominciava già alle 6, con il nascere del sole fino alle 14 del pomeriggio (fatto salvo un’ora per il pranzo) perché questo era l’orario di lavoro. Naturalmente spettava adesso a me dimostrare alla mia famiglia di avere la forza e il desiderio di affrontare questi tipi di sacrifici. Diciamo che ho avuto momenti di sconforto che però mi hanno  motivato a resistere a questi momenti difficili per questa mia scelta. Dovevo far vedere loro quanto io stessi bene e quanto stavo guadagnando sia a livello personale che a livello umano/sociale.

Questo tipo di esperienza, diciamo, mi dava forza giorno dopo giorno e quindi questo è stato veramente il mio primo impatto con la vigna perché quando avevo 16 anni ho passato qualche giornata d’estate in cantina però occupandomi sempre di fasi secondarie di vinificazione o facendo lavorazioni in barricaia, quindi seguendo le prime fasi della produzione del vino al coperto. Quindi quest’anno sono partito veramente dalla terra, prima con la zappa in mano a vangare per sistemare il terreno per mettere a dimora le barbatelle, poi sono arrivati i lavori di spollonatura e quindi tutti i lavori stagionali nelle cure della pianta a 360°.

Dal 1° di Giugno sono venuto per 20 giorni a Pantelleria, dove ho scoperto veramente l’anima fantastica di quest’isola. Venivo a Pantelleria spesso, ma non vivevo l’isola per così lunghi periodi, e qui ho davvero scoperto l’energia di questa isola vulcanica che ti infonde e ti permette di non sentire mai la stanchezza, non senti il lavoro fisico, ti adegui al lavoro vero del contadino isolano che opera in vigna per 365 giorni all’anno. Arrivato a Pantelleria pensavo che sarebbe stato molto più traumatico, perché immaginavo di dover fare molta più fatica stando a lavorare guardando il mare. Pensavo come doveva essere frustrante essere piegato a zappare sentendo la brezza dei cinque venti che qui soffiano sempre. Pensi che il mare diventi quasi l’obiettivo della giornata che sembra non arrivare mai e poi invece ti rendi conto che tra il sole, il vento, il cielo sempre blu che ti abbaglia tutto il santo giorno, capisci la vera bellezza del lavoro nella natura e quanto è gratificante lavorare tra scorci bellissimi che ti regala quest’isola e arriva la sera senza che tu ne risenti, anzi sei già carico per il giorno successivo.

La stanchezza è la linfa vitale delle tue giornate. Diciamo che tu sei in simbiosi con l’isola e stai bene. Vedi il lavoro che si crea all’interno del gruppo, una reale famiglia che non percepisce mai la stanchezza già dalle 6 di mattina quando ci si incontra per prendere il caffè, tutti insieme prima di andare in macchina e dividerci nei vari appezzamenti da lavorare, né a pranzo in mensa – per fortuna con una cuoca in grado di fare una vera cucina pantesca che a me emozione più di quella di Marsala – nonostante ci siano 35°C di sole cocente, né dopo pranzo quando ci sono le ultime tre ore da affrontare. Magari arriva quel momento di stanchezza perché c’è un allentamento di tensione e sino al pomeriggio quando si stacca e ci si incontra nuovamente tutti nella nostra sede di contrada Barone, dove si prende il caffè di chiusura giornata e ci si saluta. E la sera non si può fare quello che si vuole. Alle 20 c’è la cena ancora per tutti in mensa, più rilassati del pranzo, e poi si può fare solo quello che offre la Piazza Perugia con i suoi due bar o al limite fai la tua mezz’ora di auto per andare a passeggiare mezz’ora sul molo di Pantelleria. Ma non c’è mai una stanchezza che ti affligge, c’è sì una stanchezza ma è quella che ti gratifica nelle diverse fasi della giornata.

Ma come ti trovi a lavorare con persone che hanno una età che superano di certo i 65 anni/70 anni.

Devo riconoscere che a Pantelleria l’età media è alta perché ci sono persone che lavorano da noi da più di trent’anni, e sono come dire dei veterani, con cui si sta veramente bene, vedere loro lavorare ti infonde piacere. Però ho notato, felicemente, che ora si sta creando un bel nucleo di giovani e ci sono persone sui 35/40 anni, come pure ci sono giovanotti sui 20/25 anni. Noi siamo circa una trentina durante tutto l’anno, sino  al periodo di vendemmia, circa la metà di agosto, dove con l’arrivo dalla Sicilia dei nostri vendemmiatori, l’età media scende, però quello che ti affascina è il vedere un 65enne praticare questa viticoltura, definiamola eroica, con posizioni scomode, sempre piegati a metà, con il terreno sempre in pendenza, dove ciò che affascina di più è vedere la semplicità e la naturalezza con cui si svolgono certe mansioni che oggettivamente dovrebbero sfiancare, dovrebbero affaticare un corpo, e penso che questi lavori di vigna del contadino sono caratterizzati da un allenamento costante, e abituarsi ad un certo tipo di sforzo non ti fa certamente piacere.

Non farà certamente piacere sentire quella fatica che il tuo corpo dovrebbe percepire ma l’allenamento crea in te una forza che io la traduco un po’ in passione, quella passione che cresce in te giorno per giorno e ti fa dimenticare la fatica e ti fa sorridere ogni volta che tocchi una pianta del filare, ogni procedimento che tu debba fare, che sia la spollonatura quindi che tu debba togliere i nuovi germogli, oppure che sia la cimatura quindi il procedimento secondo cui si tagliano le punte della vite per far sì che le foglie continuino a nascere nuove per dare sempre più forza alla fotosintesi, o che siano i trattamenti con pompa a mano in spalla di 25-30 kg e portarti in giro per le pendenze pantesche, che sono pazzesche, c’è fatica, ma soprattutto in questi momenti ci sono sorrisi, perché la battuta, qualche barzelletta e il cantare danno quell’energia alla gente per affrontare al meglio questo tipo di esperienza perché non è un lavoro, secondo me esserci è proprio una esperienza di vita.

Diciamo che il mio ritorno a Pantelleria è stato, come dire, non un obbligo ma un’esperienza che mi sta dando grosse soddisfazioni, ed io ho riscoperto il mio amore per quest’isola che non dico avevo perduto, ma forse non lo avevo mai scoperto. A fine giugno quindi ritorno, bello abbronzato, a Marsala tra i miei amici che si stupivano che di vedermi così scuro, e mi ritrovo ancora in cantina per rafforzare la mia esperienza da cantiniere, quella che avevo già in parte praticato, quella che mi hanno sempre cercato di insegnare perché tutto il lavoro che c’è dietro una vite, poi lo si richiede con tanta cura nella produzione del vino contenuto nelle vasche.

Qui in cantina il minimo errore può realmente compromettere intere partite di vino e quindi cambiano le responsabilità, cambia il tipo di fatica, cambia il tipo di pressione che hai addosso. Quindi passo in mio mese intero a Marsala, passando dal sole cocente di Pantelleria, ai 16-18°C gradi della cantina, con sbalzi di temperatura importanti, un po’ fuori dal mondo, in un mondo un po’ mistico, inebriati da questi grandi vini rossi che si evolvono giorno per giorno all’interno del rovere francese. E allora ripartono le esperienze assaggiando circa 45/50 differenti vasche e/o barrique, affinando la varie sfumature che ogni assaggio può dare, pur se dallo stesso vino, da contenitori diversi e questa volta la mia è stata un’esperienza che difficilmente dimenticherò. Innanzitutto perché metti a frutto quel qualcosa che ti riporta alla fatica del frutto che hai lavorato in vigna. Cominci a sentire realmente le differenze sin dal principio.

Quindi si parte da un prodotto ancora quasi vergine che ora comincia ad avere quelle note ben definite che poi sarà il prodotto finito. Nel fare questo lavoro devi saper trovare quelle sfumature per poi saperle valorizzare prima che vadano in bottiglia. Anche questa per un giovane come me è un’esperienza che non dimentichi facilmente. Poi c’è da dire che ogni giorno hai modo di confrontarti con l’enologo, con il capo cantiniere, hai tanti modi di poter immagazzinare informazioni che ti aiutano ad un nuovo modo di vedere il lavoro di cantina. Si inizia a percepire che quel primo prodotto non è più mosto, è vino che sta fermentando, una creatura vivente che a seconda del vino che si andrà ad imbottigliare avrà sfumature di peperone se è un Tancredi, se è fruttato sarà Nero D’Avola e allora lì inizia pian piano il lavoro di dove metto questo e questo invece con cosa lo posso tagliare, questo è più adatto al Mille e una Notte. Quindi queste scelte ti portano ad esperienze che ora ritengo affascinanti. Le mie esperienze proseguono anche con alcuni giorni a Vittoria, nella nuova cantina totalmente inedita per me, una cantina totalmente innovativa con dei lineamenti giovani, una cantina quasi futuristica bellissima e scopri questa nuova famiglia di questi nuovi figli di Donnafugata. Quindi alcuni giorni li passo anche a Contessa Entellina, dove il mio arrivo non è più quello di un ragazzino, dove c’era chi ti trattava come il figlio del capo, che non è sempre la cosa più bella da vivere e ti impedisce anche di quasi di essere te stesso.

Qui arrivo per lavorare e i momenti non sono dei migliori. Si fanno orari con ritmi pazzeschi perché ci sono imbottigliamenti che impiegano tutta la tua giornata, solo il tempo di fare colazione, il pranzo e scopri che c’è una parte di Donnafugata nuova, dove l’età media è sotto i 40 anni e dove si stanno creando nuove squadre dove c’è voglia di mettersi in gioco, dimostrare che tu sia valido per un’azienda come Donnafugata, perché chi lavora per Donnafugata rispetta Donnafugata, per il valore che le è riconosciuto, perché se tu lavori per una cantina di questo calibro devi avere cura, rispetto, attenzione oltre le tue possibilità altrimenti non sei nel posto giusto. Qui quindi ho fatto questa nuova esperienza, che è stata molto interessante, ho visto tanti ragazzi giovani  che avevano voglia di fare bene e qui non mi sono più sentito il figlio del capo, ma sono sincero, mi sono sentito come uno di loro, un lavoro davvero divertente.

Poi al primo di agosto a Contessa Entellina sono cominciate le vendemmie del 2020. Il primo di agosto abbiamo cominciato con il Pinot nero per la base spumante. Avremmo potuto iniziare prima addirittura, una giornata caldissima però a livello legale sappiamo bene che non si può iniziare. Questa prima fase di produzione del Pinot Nero è dedicata interamente alla base spumante, dove ci vuole una cura certosina, quindi deve esserci veramente una selezione al dettaglio del grappolo, grappoli che vengono passati su una tavolo di cernita per togliere le foglie. Tu che sei lì al tuo primo giorno di vendemmia ti guardi intorno e ti chiedi: “…ma che caspita sto facendo? Quanto può inficiare una foglia su 500 grappoli che ti stanno scorrendo davanti, sarà un lavoro inutile!!!”

Poi ti accorgi che attorno a quel tavolo si è in due a scaricare le cassette che arrivano dai camion, altri che lavano le cassette, una persona sta attenta alla pressa dove vengono versati i grappoli, l’altra è sulle vasche a fare controlli e poi inizi a capire che forse questo è Donnafugata, inizi a capire che Donnafugata è l’attenzione al dettaglio e la cura verso la perfezione perché per avere un prodotto di estrema qualità e di costanza, qualità molto costante, c’è bisogno veramente di tante attenzioni. E guardandoti intorno capisci che questo è Donnafugata. Capisci così l’importanza di togliere quella foglia. Solo stando qui a lavorare capisci e percepisci tutto il duro lavoro che fanno queste persone impegnate a Donnafugata. Ecco perché non bisogna stupirsi quando c’è un vino che non ci piace e un vino invece che ci piace e allora non bisogna stupirsi, bisogna riconoscere, bisogna immaginare che alle spalle del vino che c’è piaciuto c’è differenza e dobbiamo ammettere e riconoscere che c’è veramente tanto lavoro alle spalle di questo prodotto.

A Contessa Entellina ho vissuto una bella esperienza che mi ha visto per una quindicina di giorni partecipare alla raccolta delle uve di Chardonnay, Catarratto, Syrah, Merlot e Nero D’Avola. Ho potuto vedere la nostra produzione a 360°. Pur essendo figlio di produttori, mi mancava questa tipologia di lavoro a tempo pieno.

Diciamo che il mese di agosto era riservato alla famiglia e mia mamma prendeva quel mese di produzione, visto che Lei si occupava anche di amministrazione e marketing, per fare un po’ di vacanze con noi due figli e con papà Vincenzo, andando un po’ anche in barca a vela ed io sino ai 19 anni non ho mai mollato i miei genitori. Quest’anno, per la mia scelta di iniziare a lavorare in vigna, ho comunque abbandonato per la prima volta la barca, la vacanza estiva,  e loro erano abbastanza tristi di questo ma dovevano rispettare la mia scelta e il mio impegno e quindi non nego che non è stato facile vivere la prima estate da lavoratore, non per il lavoro in sé stesso, ma è difficile vivere ad agosto da lavoratore fuori dalla propria città, quindi senza possibilità di uscire la sera, senza gli amici e tutta la serie di relazioni, per cambiare completamente la tua vita. Veramente ho visto le due facce della medaglia.

E’ stato un bel cambio di vita stare a Contessa Entellina con tante presse sempre attive e con macchinari assordanti. Il ritmo ti scorre nelle vene e devi andare veloce, non c’è un attimo di pausa.

Vendemmia notturna a Contessa Entellina

Poi il 25 Agosto sono ritornato ancora a Pantelleria. Qui la vendemmia era già cominciata il 16 Agosto per le uve di Zibibbo da appassimento nelle nostre strutture a tunnel nella piana di Ghirlanda e in contrada Barone. Circa 80 persone, 35 isolani e la rimanenza dalla Sicilia. Anche qui i lavori sono frenetici ed estenuanti. 

A Pantelleria non ti godi il mare, sei in una conca dove fa veramente caldo. Di certo non ti diverti. Però non ti pesa, l’atmosfera è diversa. Qui ci sono due squadre. C’è una squadra alla mattina e una squadra pomeriggio/sera e vedi come due squadre possono essere complementari, conflittuali, totalmente diverse ed è entusiasmante questo contesto perché riesci a capire le tante sfumature del lavoro. I lavoratori non isolani, sono praticamente tanti aspiranti. Quindi non c’è sfida tra le due squadre e la sera ci si trova a mensa con la “solita ottima cucina pantesca” e tanta armonia e quindi tutti a letto. La mattina alle 5 la prima quadra è già tutta sul piazzale e via sulle PANDA per le località dove bisogna vendemmiare, indicate da Biagio e da Salvatore. Qui anch’io comincio a capire come la raccolta dipende dagli appezzamenti che hanno ricevuto più sole e quindi le uve sono già pronte per la raccolta manuale. Neanche il tempo di fare tre giorni di vendemmia che vengo assegnato alla cantina per le vinificazioni del Passito Ben Ryé. Le temperature rimangono interessanti pur se abbastanza alte e quest’anno l’uva nei tunnel ha avuto la giusta spinta grazie al calore. Seguo pertanto anche le prime sgranature che vengono effettuate da una ventina di lavoratori nella nostra cantina in contrada Barone.

A Pantelleria la cantina è totalmente diversa rispetto a Contessa Entellina, con dimensioni ridimensionate, dove non ci sono più due squadre ma ce n’è una sola quindi poche persone. Siamo solo in 4 con tempi ben scanditi e allora sai che ad un certo orario arriverà l’uva, ad un certo orario tu dovresti avere la pressa pronta e tu sempre pronto all’esigenza di qualsiasi problematica. Qui devi far fronte a questa piccola cantina che non può avere un guasto, perché essendo ridotta come dimensione deve essere sempre perfetta, presentabile, pronta per il vino che sta per entrare. In realtà mi faccio una bella esperienza. Pantelleria per noi è un elisir, una piccola parte che deve dare grandissimi risultati, perché è un’isola, siamo su un’isola che è difficile oltre che fantastica. Dobbiamo ricordarci che siamo isolati. Secondo me, da come vedo, qui ogni lavoro viene trattato al 200%, con tutto il rispetto che si merita perché ogni suo piccolo acino deve darti un qualcosa di unico.

Qui produciamo e siamo conosciuti per il vino Lighea, che è un bianco secco unico di uve Zibibbo, per il Kabir che è un Moscato Naturale e per il nostro vino di punta che è il Passito di Pantelleria DOC Ben Ryè che ci è stato riconosciuto in tutto il mondo come miglior vino dolce e da dessert. Qualcosa come 80.000 bottiglie. Una cifra che nel 1988, con mio nonno, nessuno avrebbe potuto immaginare. Qui a Pantelleria, a lavorare in cantina, ora mi ritrovo con la persona che rispetto più di tutti, è la persona che mi ha sempre messo più sotto di tutti e che ha sempre voluto insegnarmi al 100% di quello che  realmente c’era da fare all’interno della cantina. Lui è Francesco Marceca (detto Ciccio). Quando l’azienda è nata a Pantelleria lui lavorava già qui e affiancava il mitico Giacomino e quindi ora è il nostro uomo di fiducia, il nostro pantesco, mettiamola così. Francesco aveva 30 anni quando ha avuto l’incarico di gestire un’intera cantina, ora è un veterano. Ovvio che mandiamo i nostri campioni a Marsala giorno per giorno, c’è un confronto h24 tutto rapportato con le analisi che ci arrivano giornalmente.

In cantina Lui gestisce tutto e dai vigneti riceve tutte le informazioni da Salvatore Barraco, anche lui qui ormai da tanti anni. C’è un duo che quasi non necessita di tecnici anche se l’enologo attuale per tutte le aziende di Donnafugata è Antonino Santoro che ora sta operando sull’Etna. Pertanto caro Rocco, come te che andrai via da questa isola meravigliosa, anch’io, carico di motivazioni e avendo capito come si lavora su un’isola, sarò da domani in fuga per Marsala dato che dovrò fare la patente da carrellista per essere così un operaio più completo, più operativo. Ho sempre invidiato chi si spostava con i muletti in azienda e dato che io sono un amante della guida, questa parte mi mancava. Resterò un paio di giorni a Marsala e poi subito dopo partirò per l’Etna.

Prima tappa a Randazzo, dove sono già cominciate le raccolte delle uve per fare spumanti e stanno anche per cominciare le vendemmie dei bianchi etnei in particolare del Carricante, che conosco poco. Interessante sarà anche poi la raccolta di un altro “mostro di rosso”, il Nerello Mascalese. La lavorazione di questi vini dell’Etna, super particolari, unici nel loro genere, mi stanno già entrando nell’anima e non vedo l’ora di andare a scoprire le basi e la natura di un prodotto che per me personalmente ha un potenziale da esprimere a grandi livelli. In questo momento l’Etna vive anche grazie allo “storytelling” che gli hanno costruito attorno, perché ovviamente e giustamente si deve anche parlare di dove ci troviamo, un territorio che si sviluppa ed ha una sua storia vitivinicola sul vulcano più alto d’Europa, che è ancora attivo, e richiama milioni di persone con le sue eruzioni e le sue colate laviche.

Una cosa impressionante solo a pensarci che si va a lavorare con la paura di una nuova eruzione. Non vedo l’ora di poter avere tra le mani e nei bicchieri questi vini che già produciamo da almeno 5 anni e che conosco perché mi piacciono anche se degustati solo a casa a Marsala. Io  stesso già sin d’ora garantisco che questi vini avranno un futuro per il loro gusto “borgognone”. Secondo me i nostri vini etnei hanno ancora più freschezza, gustosità sapidità e mineralità che i francesi non hanno e non potranno mai avere. Io credo molto nell’Etna perché questi vini mi hanno stupito sin dal primo giorno che li ho potuto degustare e li ho trovati impressionanti, malleabili, fruttati e pieni di vinosità. In particolare amo il Nerello Mascalese, di cui già lo scorso anno ho potuto vedere i grappoli densi, carichi, e che nonostante abbiamo acini un pelo più piccoli, hanno note aromatiche ben definite che quando assaggi il vino percepisci subito che si parla di vini di un vulcano, l’Etna. Ho ricordi di quelle uve, le prime nostre di contrada Marchesa, che nulla avevano di altre uve della Sicilia.

Debbo dire che c’è solo un altro vitigno che mi intriga come il Nerello Mascalese, ed è il nostro NOCERA che abbiamo in piccole quantità a Contessa Entellina, con il suo colore rosa, che poi riconosci nel vino, con la sua aromaticità e gentilezza di tannini, mai astringenti e con lunga persistenza vellutata nel retro gola. La stessa cosa, pur se ancora giovane, la provai quando si degustava il Mille e una notte, diverso da tutti gli altri vini di Nero D’Avola, diversi già tra di loro a seconda da quale vigneto arrivano le uve.

Capire che ogni anno si avranno vini diversi per ogni zona, avere delle loro note che permetteranno poi di associare quel determinato raccolto in quel dato giorno ad un tipo di vino di un’altra zona e di un altro giorno, che è una cosa che affascina nel capire come la natura di quel grappolo possa cambiare durante il periodo di affinamento anche perché poi qui entrano in aiuto i legni che saranno utilizzati per la maturazione. Non vedo l’ora di essere sull’Etna perché penso che sia difficoltoso lavorare come lo è a Pantelleria. Stessi muretti, stesse pietre vulcaniche, stessi terreni ricchi di mineralità, sulfurei, mai una pianura, sempre pendii, uve sempre basse da lavorare, stesse temperature, stesse facce di persone anziane che lavorano sorridendo alla fortuna che ha concesso loro di lavorare in un ambiente a dir poco straordinario. Il bello ancora dell’Etna è poter girare i diversi minuscoli appezzamenti tutti delimitati da muretti, come se una macchina ne avesse già segnato  una mappatura, ogni terreno con una casa sempre diversa, con vigneti e frutteti dove la fatica dei nostri nonni ci racconta la storia dei grandi prodotti che abbiamo la fortuna di poter ottenere. Di certo non sarà una passeggiata vendemmiare sull’Etna ma so di poter contare su tanti altri personaggi che hanno fatto la storia dei possedimenti di Donnafugata.

Caro Ferdinando grazie di quello che mi hai detto sino ad ora, davvero interessante, ora però volevo chiudere la nostra intervista chiedendoti dei flash personali, naturalmente partendo dal nonno Giacomo, per poi passare a nonna Gabriella, quindi alla tua mamma José, lasciando per penultimo lo zio Antonio e naturalmente tua sorella “Gabriellina” lasciando fuori, per i loro impegni personali, tuo padre Vincenzo e la cara Barbara. Tu ormai sei adulto ma hai vissuto la tua vita con loro e di certo mi darai le tue impressioni partendo dal grande personaggio che è stato Giacomo Rallo.

Allora parto dal pezzo forte che mi emoziona sempre tanto a parlarne. Parlare di mio nonno Giacomo mi emoziona. Sono stato molto legato a mio nonno e lui è stato una delle persone che ha creduto in me e più di tutti, in certi momenti della mia vita in cui io, molto giovane e spensierato ero anche un po’ pericoloso (sto scherzando). Sono molto fiero di portare il suo nome, all’anagrafe sono Ferdinando Giacomo, una persona che ha dato tantissimo, secondo me, alla la Sicilia e mi viene da dire anche all’Italia. Una persona che aveva una empatia unica, una capacità di relazionarsi con chiunque veramente inaudita e io sono fiero di sentirmi dire da alcune persone che mi hanno potuto conoscere che somiglio molto a mio nonno Giacomo.

Persone che mi hanno conosciuto in questa mia prima esperienza che se mi dicono che assomigli tanto a tuo nonno per me è un assoluto elemento di fierezza, una forza che mi sento dentro perché una persona così ricca di cultura e così semplice, secondo me, non è facile trovarla da nessuna parte.

Io in vent’anni ho fatto a Giacomo tre interviste e tutte e tre le volte gliele ho fatte qui a Pantelleria, su questi muretti, a ruota libera, e Lui parlava con una naturalezza incredibile di qualsiasi località, di qualsiasi argomento,  non c’era materia che Lui non poteva sostenere, sapeva tutto di tutti e la cosa bella che mi piaceva di Lui era il fatto di voler parlare sempre delle persone, del territorio, di questa terra pantesca, per Lui magica. Andiamo avanti”.

Mio nonno aveva un legame molto forte con mia mamma ed è una delle cose da cui io traggo energia e in questa mia prima lunga vendemmia che sto affrontando, intrinsecamente ho un senso di responsabilità nei suoi confronti. Non so se ti ricordi quando è venuto a mancare. Io mi sentii in dovere di dover fare un discorso sia in cantina che poi in chiesa e il fulcro di quel discorso era che stava venendo a mancare una persona fisicamente al nostro fianco e che tutti noi che eravamo legati a nonno Giacomo ora dovevamo supplire alla sua assenza, suturare la sua assenza, facendoci guidare dalle sue linee guida che ci aveva infuso, che ci aveva lasciato, che  ci aveva sempre trasmesso.

Questo è quello che continuo a dire a lungo quando parlo di mio nonno, noi dobbiamo semplicemente investire le energie che ci ha lasciato. Per supplire all’assenza di una persona così per bene, una persona così funzionale, non c’era che un’altra persona, quella che Lui ha avuto al suo fianco, una persona tanto potente, come lo è la nonna Gabriella.

Una donna con i pantaloni, che ora ha i suoi 78 anni, una donna senza la quale Giacomo non avrebbe mai potuto tirar su Donnafugata perché diciamocelo pure che senza Gabriella, il nonno Giacomo avrebbe faticato molto. Una donna che non ha mai sentito il peso della fatica dell’azienda e della famiglia ed io sono sempre stato viziato e amato in maniera immensa anche da mia nonna. Quando parlo di lei parlo in maniera diversa rispetto a come quando parlo di mio nonno perché magari cambiano le persone, come lo è anche quando parlo di mia mamma.

Mia nonna mi ha sempre trasmesso la grinta di saper andare oltre le cose, oltre le difficoltà, oltre i pesi della fatica, perché tutti noi abbiamo momenti difficili e perciò io quando parlo di mio nonno parlo di commozione e quando dico energia significa che voglio parlare di mia nonna Gabriella perché è una donna veramente che non sa cosa significhi la parola fermarsi e prendere un momento di pausa, una donna che vive a 360° per 365 giorni l’anno. Al mondo per Lei non c’è tempo da perdere! Nella vita quello che ho potuto imparare da Lei è questo non c’è tempo da perdere. C’è sempre un modo di crescere e di migliorare se stessi, di scoprire se stessi, quindi non c’è pausa nella vita. Questo è quello che penso mi abbia insegnato mia nonna più di qualsiasi altra cosa.

Per parlare dell’altra persona donna di casa mia, di mamma Josè, diciamo che con Lei, ho un rapporto non voglio dire conflittuale, però complesso, che abbiamo sempre avuto ma soprattutto in questa mia ultima scelta di mettere le mani in pasta e temporaneamente magari abbandonare gli studi.

Lei ne ha sofferto e non metto in dubbio quanto sia stata motivata la sua sofferenza però in questo momento io credo che sia la persona che sta godendo di più dei benefici nel vedere suo figlio che vive la gioia del duro lavoro, cioè è fiera perché secondo me Lei in certi momenti si rispecchia in me, perché anche lei ha avuto una gioventù incosciente è una gioventù complessa, con momenti di difficoltà, capita agli adolescenti e magari Lei vede in me quella voglia di non fermarsi, quella voglia di fare bene, quella voglia di dare il 100% di se stessi non necessariamente in maniera canonica come potrebbe essere indicato dalla media delle persone della mia età, diciamo di questo mondo fatto sempre più di stereotipi di persone realizzate. Diciamo che con mia mamma c’è un rispetto conflittuale senza problemi. È un rispetto conflittuale che mi piace come definizione.

C’è approvazione da parte di entrambi per le nostre scelte che sono di diverse vedute però alla lunga virano per la stessa via e portano allo stesso risultato.

Diverso è il parlare di mio zio Antonio. Diciamo che se accendi due luci, penso che mio zio sia la persona che nel tempo io possa assomigliare di più, la persona con la quale io possa avere più passioni in comune, più vedute simili. In comune abbiamo passionevolmente l’amore per il vino. Secondo me bisogna avere la voglia di poterlo spiegare a tutti con semplicità perché alla fine il vino deve essere semplicità, non deve essere qualcosa di complesso.

L’amore che io e mio zio proviamo, secondo me, per una materia del genere è L’amore vero L’amore puro, L’amore che il vino merita. Cioè è darsi veramente tutto se stessi per potersi trovare nel prodotto. Diciamo che zio è stato quella persona che mi ha più sostenuto insieme a mia zia Barbara in questa mia scelta; loro mi hanno sopportato perché secondo me hanno visto anche loro le motivazioni che c’erano dietro a una riflessione del genere. Cioè la necessità di sentire e di sentirsi realizzati. Non di lottare per qualcosa che la civiltà ti richiede perché c’è una laurea, ma la necessità in me di sentirmi crescere, di sentire che il vino sarà realmente il mio mondo e quindi c’è stato il desiderio da parte di entrambi di darmi questa opportunità ed io sarò loro estremamente grato. Parliamo di Antonio: con lui fondamentalmente non ho mai parlato di questa cosa. Credo che lui vedeva in me le basi che aveva lui e che ora si rispecchia molto in me perché io so che cosa lui desiderava sin da giovane. Lui ha avuto la possibilità di andare a studiare fuori nelle migliori università enologiche, ha potuto fare esperienze ad altissimi livelli, ma il suo desiderio era di poter vivere in azienda con compresenza, non immaginare una crescita ipotetica, Lui voleva essere parte di questa crescita e quindi, ha capito, secondo me, che si rispecchiava tornando un po indietro nel tempo.

Magari lui già pensa che anch’io potrò un giorno fare parte di questa azienda e che anch’io potrò lasciare un segno. E questo suo pensare per me è una bella cosa.  Questa è una prova di responsabilità di segno positivo e anch’io mi rispecchio molto in lui. In questa mia prima vendemmia abbiamo trascorso molto tempo insieme, ci sentiamo costantemente, quasi ogni giorno, ancor più che con mia mamma, non per motivi di lavoro ma per motivi familiari. Secondo me da parte di entrambi c’è una visione grande del futuro di questa azienda ed hanno il desiderio, secondo me, di realizzarla veramente insieme, lui, mia mamma, mia sorella ed io proprio come avrebbe voluto mio nonno Giacomo. In questo momento io sono estremamente grato a mio zio Antonio, che è più di un fratello maggiore, per me è la persona che mi ha sempre sostenuto, e che come hai detto anche tu, si è rivisto molto in me. Io non riesco a rivedermi in lui soltanto per un motivo, perché per me ha perso troppo tempo, più di quanto io ho dedicato a Lui. Spero solo che anch’io possa essere simile ad una persona così forte, così stakanovista, perché questo è mio zio Antonio. Casa e lavoro e famiglia.

 

E allora vogliamo chiudere questa intervista parlandomi di tua sorella Gabriella?

Parlare di mia sorella Gabriella non è facile, siamo due anime diametralmente opposte, lei è metodica, precisa, puntuale, ed io sono un po’ l’essenza della sregolatezza. Lei è l’attenzione, io posso essere la distrazione, però quella distrazione un po’ creativa, un po’ fuori dalle righe e invece lei sarà quella linea guida che definirà il sentiero attraverso cui potremmo muoverci, sarà lei a scavare quel fiume e stabilirà gli argini ed io invece sarò la barca che si muove in quegli argini posti e imposti correttamente da mia sorella. Diciamo che è un rapporto conflittuale, siamo onesti e non prendiamoci in giro, ma due anime che sono veramente e totalmente opposte, è normale, è prevedibile che siano in conflitto e lo dimostrano le nostre scelte.

Lei ha fatto un bel percorso netto in Università, si è laureata con i migliori voti e in 2 anni e 10 mesi ha fatto un master ed ha stretto un tirocinio in un’azienda dove è stata assunta immediatamente e sta ottenendo grandi risultati, sta vivendo una bellissima esperienza, fortemente motivata. Secondo me non è una cosa negativa. Secondo me lei ha una sensibilità differente da vivere, ottenendo anche e sottolineo anche, l’approvazione altrui e questa è una dimostrazione di sensibilità. Secondo me significa che questa necessità le venga riconosciuta da chi ha intorno e che lei sia una voce che conta, lei crede in sé stessa e fa bene perché sa di essere sostenuta da persone a cui vuole bene e quindi ha bisogno di far sapere che stanno sostenendo queste sue scelte. Per me questa è una dimostrazione di una sensibilità immensa.

Al contrario, io, come dicevamo ho vissuto un momento complesso della mia vita ed ho deciso di smettere di studiare all’Università perché sono una persona che ha bisogno della pratica, magari non si smette mai di studiare, e per me vale il detto che la pratica vale più della grammatica e comunque non si smette mai di studiare. Si può interrompere un bel corso didattico però non si deve smettere mai di studiare e quindi io ho fatto questa scelta pazza decidendo di iniziare a lavorare, anche causa Covid-19 e per mia fortuna in una azienda familiare. Io ho sempre avuto bisogno della realtà pratica, del toccare con mano. Io sono una persona a cui manca “la sensibilità” che ha mia sorella nel confronto con gli altri, io sono una testa calda, sono una persona che ha bisogno di ascoltare la gente, mi piace crescere ascoltando i pareri delle persone; sono una persona molto fredda, una persona che sta più sulle mie, con una determinazione diversa e una forte passione per il vino.

Adesso con un po’ di presunzione ammetto che mi sento portato per il mondo del vino e io quando degusto qualcosa ne percepisco le differenze e questo è ciò che mi fa innamorare giorno per giorno del lavoro che faccio. Io sono straentusiasta di questo tipo di esperienza che sto facendo e sono super entusiasta del fatto che mia sorella sta facendo un corso totalmente diverso e spero proprio che un giorno le nostre strade si potranno incrociare unitamente al meglio per dare origine veramente ad un percorso che porti questa azienda ancora più in alto di quanto non sia adesso. Io ci credo, ci credo molto perché penso che abbiamo gli ingredienti giusti come coppia e che anche con la collaborazione di mia madre e di mio zio potremmo fare grandi cose per Donnafugata, perché questa nostra azienda merita personalità eclettiche che sappiano dare tanti diversi contributi. Io direi che ora ne abbiamo messo di carne al fuoco, ma è anche la mia lingua che non si ferma mai.

 

a cura di Rocco Lettieri

(Alcune foto sono state fornite dallo Studio Gambina)