Innovazione – Il vino che berremo – Incontro a Roma

Relazione di Rocco Lettieri

Roma, 7 Febbraio 2008 – Hotel Sheraton EUR

VITICOLTURA DI PRECISIONE
SVILUPPO E GESTIONE A PODERE FORTE in Castiglione d’Orcia (Siena)

un saluto ai presenti.

Non se ne sa mai abbastanza. Non è un detto, ma è una pura verità. Sono andato in pensione a 59 anni compiuti con 45 anni di servizio (una volta li chiamavano marchette – i bollini che dimostrano sul libretto di lavoro dove e con chi hai operato). Ho iniziato a lavorare a 14 anni dopo le tre medie. A 25 anni costituivo una Associazione per amatori di vino, la: Unione Simpatizzanti del Vino, poi alternando studi di ragioneria serale e Università sempre di sera a Milano (Scienze Politiche) con la mia primaria attività, il panettiere, sono cresciuto nell’ambito giornalistico come eno-gastronomo scrivendo per diverse riviste italiane e svizzere e non ultimo (grazie al Maestro Gino Veronelli che ho frequentato sin dal 1978) sono un ispettore di Guide, lavoro che faccio con molto piacere.

Questo preambolo per dire che andato in pensione pensavo di rilassarmi convinto di sapere molto sul vino e sul cibo e su tutto quello che gira intorno a questo affascinante ambiente. Non immaginavo di trovare sulla mia strada un certo sign. FORTE, di cognome e di fatto. Lo conoscevo bene come vicino di paese (siamo distanti solo 6 km) per le sue industrie di alta ingegneria elettronica ma ancor di più per la sua azienda agricola in Toscana, in Val d’Orcia, per la produzione di olio e di vini (avevo potuto degustare i vini in diverse occasioni e per aver fatto un servizio per la rivista Ex Vinis).

Mancava un mese a terminare il mio lavoro di frontaliero in Svizzera e ricevo un invito da parte di Podere Forte per una cena particolare da Aimo e Nadia a Milano. Partecipo con entusiasmo e mi sento chiedere dal signor Forte per quanto tempo dovrò ancora lavorare in Ticino. La mia risposta: ancora per un mese e poi vado in pensione. E Lui: in pensione??? Ma stai scherzando. Vieni da me a renderti utile. Inventati una mansione e sarò felice di averti al mio fianco in Toscana. Un’offerta di lavoro a 60 anni non capita tutti i giorni. Prendo tempo, parlo in famiglia. Il 6 Febbraio del 2006 sono in Castiglione d’Orcia affascinato dalle bellezze paesaggistiche che anche l’UNESCO ha riconosciuto. Prendo tempo anche qui, mi guardo in giro, cerco di capire cosa posso fare e in che modo posso guadagnarmi non tanto la cosiddetta pagnotta (già ampiamente sudata per 32 anni) ma almeno la fiducia di Forte considerando che mi si apriva una prospettiva di avere un ufficio, una casa, una paga e un lavoro in una delle aziende più innovative della zona, insomma, continuare a lavorare divertendomi.

Dopo tre mesi sciolgo la riserva: farò il P.R. e la collega americana del marketing mi affibbia sul biglietto da visita: Key Account Area Manager. Il mio inglese ignora questo ruolo. Lei mi dice che sarò il responsabile anche per altre diverse mansioni: la chiave che apre tutte le porte (dei clienti, degli agenti e dei visitatori). Comincio a dubitare sul fatto di divertirmi. Infatti dopo 6 mesi capisco che il divertimento è ben altra cosa ed essere giunto a 60 anni per rivoltarsi le maniche non è proprio ciò che mi ero prefisso.

Qui entra in scena il personaggio FORTE che tutto è tranne che debole. Un vulcano che galvanizza tutti i collaboratori e li coinvolge al punto tale da avere nelle diverse aziende persone che collaborano con lui da più di 35 anni, cioè da quando ha iniziato la sua avventura e tutti lo stimano e lo rispettano. Ci sediamo a tavolino e capisco che ne sa una più del diavolo, in ogni campo. Mi parla di olio, di cultivar, di vino e di vitigni, di calcoscisti fessurabili e di “terroir”, di rispetto per la natura e per la terra, per la terra, per la terra, quasi a ricordare una copertina di ex Vinis di Veronelli; poi mi spiega che qui si lavora in biologico e biodinamica con le tecniche suggerite da Steiner e dal francese Joly produttore della Coulée de Serrant nella Loira e dai signori Bourguignon, massimi esperti francesi di suoli; mi parla di compost, di humus, di vermiciattoli che scavano gallerie dove l’acqua si infiltra seguendo un percorso già tracciato senza fare danni all’ambiente, mi racconta di semi di grano antico proveniente dalla Banca dei semi di Foggia e di Siena, moltiplicato da noi per avere sementi di grano duro e tenero per farine che hanno il profumo di una volta e che a loro volta riescono a dare al pane, ai dolci e alla pasta quelle sensazioni gustose che non troviamo più. (E le viene a raccontare a me che ho fatto il panificatore per 32 anni).

E poi mi parla delle pecore scozzesi di razza Suffolk che brucano l’erba senza mangiare le piantine e che allo stesso tempo concimano in modo naturale. Sentirlo parlare di maiali di Cinta Senese, una razza in via di estinzione, raffigurata nell’affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Comunale di Siena, risalente al 1338, è una sorta di incantesimo che porta a sapere di tuberi, di ghiande, di castagne, di radici e allo stesso tempo è interessante sentirlo parlare di ricerca di zone melmose e di rimescolamento della terra e di spazi liberi dove questi animali debbono essere allevati allo stato semibrado o brado “controllato” con pascoli nei boschi e con diete integrate nella misura opportuna con sfarinati di origine vegetale (farine, mais, favino, favetto, mele, ecc). Per non parlare dei salumi che se ne ottengono, prodotti al di fuori della Toscana, perché i norcini regionali, lavorando nella tradizione, non riescono a trovare il modo migliore per lavorare queste carni. E allora si portano i maiali da Massimo Spigaroli a Polesine Parmense (il re dei culatelli), e da Piero Cipolla di Camairago (Artigiano Radioso di Massobrio). Le sue conoscenze spaziano pure sulle api e sui mieli, sulle acque sulfuree di Bagno Vignoni e sulla storia della Val d’Orcia con i Salimbeni, gli Aldobrandeschi, gli Aggravi-Scotto, dei Tricerchi detti Cicerchia e sui dipinti di Lorenzo Di Pietro detto il Vecchietta, che guarda caso ha museo proprio a 10 metri da casa mia a Castiglione d’Orcia.

Non ci vuole molto a capire che anche a 60 anni si ignorano ancora tante cose che si possono ancora imparare e che forse è bene accettare quello spazio e quell’opportunità datami, che comunque non significa andare a vendere il vino, ma anzi, comporta la scelta e la selezione di clienti, molti dei quali già affezionati. Entro il 2012 il progetto di Podere Forte è produrre più bottiglie ma sarà un aumento molto graduale e una bella sfida.

Consola anche il fatto che quando lui parte dal Podere, a volte per la Turchia dove lo attendono i tecnici della Eldor Corporation, in altre parti del mondo è richiesta la sua esperienza per ottimizzare ad esempio le bobine pencil che equipaggeranno le potenti superbike o per il particolato dei motori diesel per limitare l’inquinamento attraverso sviluppo di fonti energetiche alternative e di nuove tecnologie per la diminuzione del consumo di carburante e non deve spaventare se Il SOLE 24 ORE dedica una pagina intera a Pasquale Forte che viene premiato a Maranello dal Management della Ferrari come azienda fornitrice più innovativa dell’anno 2007 per “il progetto correnti ionizzanti che ha contribuito al miglioramento delle performance delle vetture Ferrari”.

Ricominciando dall’inizio mi sovviene che dovrei raccontare qualche motivazione legata al tema odierno: Innovazione – Il vino che berremo. Lavorando e conoscendo meglio la filosofia applicata a Podere Forte mi domando come possano nascere ogni giorno case vinicole, con anche numeri elevati di bottiglie. Ma cosa contengono? Vale di più il contenente o il contenuto?

Se è vero che il vino dovrebbe nascere in vigna e dall’uva, come mai tante cantine dopo solo tre o quattro anni, sono già a pieno regime con centinaia di migliaia di bottiglie? Ma sono davvero così bravi tutti questi enologi che tutto sanno di vino e di numeri di bottiglie da produrre e molto meno di vigna?
Perché alla fine i conti sono subito fatti. Se sono in giro a fare consulenze e assaggi (da Trieste alla Sicilia, dal Piemonte alla Toscana e alla Puglia) quanto tempo resta a loro per sporcarsi le scarpe nei vigneti?
Quando sono in Toscana vivo fianco a fianco, di ufficio, con il giovane enologo che con solo 20.000 bottiglie da tenere sotto controllo (per adesso), fa davvero fatica a trovare tempi liberi per se e per la famiglia. Vuole e chiede troppo il sig. Forte o davvero c’è bisogno di essere sempre ben presenti in cantina? D’altro canto analisi, travasi, controlli di cantina, degustazioni, ricevimento barriques e riempimento delle stesse, pulizia degli attrezzi, controllo dei vigneti e delle centraline per i controlli meteorologici, vendemmia con relative ispezioni delle varie vasche in fermentazione, richiedono tempi che non ti permettono di andare troppo in giro. D’accordo anche che c’è un aiuto in cantina e un’altra persona lavora esclusivamente in laboratorio e un numero sufficiente di persone che lavorano le vigne, ma viene spontaneo chiedersi quante persone occorrerebbero allora in cantine dove si producono centinaia di migliaia di bottiglie?

E se 1+1 fa 2 e per avere qualità ci vogliono persone, dov’è e come si misura la vera qualità?
Negli assaggi che facciamo in giro come giornalisti troviamo grande omologazione, tanti vini uguali, sempre più difficile percepire le differenze di vino tra una regione e un’altra, sangiovesi che sentono di Montepulciano d’Abruzzo, vini di Puglia che non si distinguono da quelli di Sicilia, Aglianico che sentono di legno al pari di Barolo e Barbaresco, Brunello neri come la pece che si soffermano sui denti come cachi acerbi e non vanno giù neanche con l’imbuto.
La piacevolezza?? Zero.

Cos’è un grande vino ho chiesto al Forte?
La risposta, semplice, nitida: “…un grande vino è musica, armonia, piacevolezza ed eleganza.
…ci troviamo di fronte ad un grande vino quando la bottiglia si finisce in fretta e ce ne vuole subito un’altra. Come il nostro vino Petruccino, sangiovese all’85%, che per abbinare ad un antipasto e un primo, in quattro persone, ne abbiamo chiesto e gustato tre bottiglie. Premetto, non dovevamo guidare, ma sarebbe stato lo stesso. Lo avevamo già digerito e lo stomaco lo aveva già metabolizzato”.

Alla domanda: mi può dare qualche spunto da poter riportare al convegno di Roma?

“Per noi, al Podere – ha risposto Pasquale Forte – il vino è il prodotto principe e lavoriamo intensamente per capire il territorio e quali sono le parcelle migliori, quei vigneti che, alla francese, chiamiamo Grand Cru, classificati e selezionati all’interno del Podere in base alle analisi chimico-fisiche e biologiche e in relazione dei prodotti che si sono ottenuti in questi dieci anni. Le uve per i vini PETRUCCI e GUARDIAVIGNA provengono quindi dai migliori terreni aziendali, con buona permeabilità e forte presenza di calcoscisti fessurabili che donano mineralità al vino. Poi abbiamo i vigneti che classifichiamo “Premier Cru”, dove i suoli si differenziano per essere più leggeri e più profondi, con una presenza media di argilla che dona freschezza e potenza. La differenza tra le varie parcelle sta nello spessore del suolo prima di arrivare alla roccia scistosa. I terreni Grand Cru hanno suolo basso, piccolo, che va dai 25 ai 50 cm prima dello scisto, mentre ai piedi dei pendii, dove c’è stato accumulo da erosione, si possono trovare suoli dai 50 ai 120 cm. Questa differenza permette di organizzare le vigne, i portainnesti, la scelta dei vitigni e ci permette di concentrare tutta l’energia sui grappoli da produrre. Quindi viti equilibrate con qualità di uve superiori, eccellenti. Importante a questo punto è sapere anche a che punto fare le potature. Tutto deve essere fatto in funzione del ceppo e dell’età della pianta. Attraverso questo sviluppo di pratiche scientifiche pensiamo di aver intrapreso la strada giusta per una viticoltura di precisione (estrema). La potatura è fondamentale e se fatta specifica per ceppo, permette poi di avere uve per grandi vini. Le date per poter intervenire sono importanti, di certo non prima del 24 gennaio, quando la vite è ancora in fase centripeta della terra, cioè tutto viene ancora attratto verso l’apparato radicale (zuccheri, linfa e anche malattie); se invece si fanno potature con fase centrifuga, cioè quando la pianta spinge fuori la linfa, non avremo problemi di malattie e germi derivanti da ferite procurate dal taglio al tralcio.
Molta importanza ha pure l’apparato fogliare che da possibilità alla vite di avere una fotosintesi equilibrata. Vuol dire in pratica che per ogni kg di uva, ci vuole almeno un metro quadrato di superficie fogliare. Se la fotosintesi è equilibrata e corretta avviene una maturazione perfetta; molto caldo potrebbe quasi bloccare la fotosintesi, e rallentando ci potrebbe essere un ritardo nella maturazione fenolica. Tutti processi da tenere sotto controllo. Ritardi o anticipi conferiscono complessità aromatica o sentori vegetali.
Altre considerazioni sono legate alle stagioni; la vite ha bisogno di riserva idrica. Bisogna quindi lavorare i suoli per far fronte ai caldi eccessivi. Si ha bisogno di avere suoli sciolti. Bisogna operare in modo da non compattare le superfici e quindi da noi utilizziamo anche trattorini estremamente leggeri ed elettrici e a volte si lavora a mano immettendo nei suoli vigore grazie a pratiche biodinamiche. Per questa importante lavorazione, che definiamo fertilizzazione autunnale, ci aiutiamo con prodotti di compostaggio aziendale di due tipologie: il compost di letame bovino da allevamento biologico, seminato con preparati biodinamici e compost di sole ramaglie. Nei suoli secchi e con poco spessore diamo compost bovino, mentre nei suoli profondi e ricchi diamo di preferenza compost di ramaglia. Quest’ultimo ha il compito di sciogliere il suolo perché si combina bene con le argille e così si evita di compattare lasciando spazio alla vita degli animaletti che si annidano nella terra lavorandola e tenendola sempre smossa. La vite in questo modo si nutre attraverso l’apparato radicale di tutti i composti di cui ha bisogno; con i prodotti chimici la vite funziona come una flebo e finito l’effetto tutto muore. In autunno seminiamo una miscela di leguminose e graminacee in funzione di quello che ci serve; sopra distribuiamo il compost e così evitiamo erosione dando vita e nutrimento alla fauna del sottosuolo.

In tempo di vendemmia cerchiamo di seguire l’evoluzione degli zuccheri negli acini, sia con degustazioni che con controlli analitici in laboratorio. Il tempo di raccolta varia da vigna a vigna e facciamo raccolte graduali di uve a mano, in cassette, e vinifichiamo cercando di portare in vasca acini interi previa diraspatura leggera dove gli acini sono ancora integri al 95%. Tutte le operazioni sono per caduta naturale e la vinificazione in questo modo avviene spontanea quasi si trattasse di macerazione carbonica non compromettendo quindi la perdita di profumi e di aromi; la presenza di vinaccioli a contatto con il liquido è minore perché contenuti nella sua buccia ed abbiamo pochissimi tannini amari. Ogni vasca in legno (tinaia) dispone della corrispondente vasca in acciaio inox per delestage e svinature. Le fermentazioni avvengono spontaneamente e qualora ce ne fosse bisogno, ci aiutiamo con lieviti selezionati da noi con particolare cura e ricerca. Le fermentazioni durano mediamente da 12 a 20 gg, a contatto con le bucce per un’estrazione monitorata da costanti degustazioni ed anche da precise analisi di laboratorio.
L’azienda da qualche anno applica un protocollo di lavori di cantina adeguata alle annate. La fuoriuscita del mosto (aiutata anche da pigiatura “podolica” e l’estrazione di polifenoli nobili viene eseguita con follature manuali). Sono state introdotte anche nuove prove con cappello sommerso per l’intera durata del processo del Sangiovese.
In conclusione vorrei poter dire che la vendemmia ultima la possiamo annoverare tra quelle più significative tenutesi al Podere. Il cambiamento climatico ci ha obbligati ad interpretare il territorio con grandi risultati che avvertiamo nei primi assaggi. Continuano i lavori in cantina con i primi travasi. Qui vorrei aprire ancora una parentesi: abbiamo inserito sensori di pressioni ed un rilevatore di ossigeno. Da qui abbiamo appreso che lo spessore delle doghe incide molto. Infatti noi usiamo doghe di 30 mm. anziché quelle standard di 22 mm. In primavera con i primi travasi sarà possibile fare una reale valutazione dell’annata che di certo darà grandi soddisfazioni per un confronto futuro”. In poche parole, stiamo cercando di portare il “territorio nel bicchiere”, e che territorio!
Salvaguardando l’ambiente per i nostri figli, nipoti e future generazioni.

A cura di Rocco Lettieri