ANGELO CONTI ROSSINI 10 anni dopo

ANGELO CONTI ROSSINI, dieci anni dopo

Zurigo, 23 marzo 2003, ore 19.00, Hotel Savoy Baur en Ville, circa 80 gli ospiti chiamati a ricordare, a 10 anni dalla scomparsa, il compianto Angelo Conti Rossini, chef di Brissago, da cui abbiamo tutti appreso lezioni di vita e di “cultura gastronomica”.

Questo il discorso di Carlito Ferrari (Grimod), anche promotore di questa serata:

“Care Monica e Fernanda, parenti, estimatori e amici.

Angelo indimenticabile!

Nel tuo spirito di grande altruismo, di voglia di comunicare, di praticare e insegnare la comprensione e l’amore, potrebbe rientrare l’idea di questa serata festosa? Diceva giorni fa il suo carissimo amico Manfred Hörger: «ovunque egli sia, speriamo che non ci critichi troppo!»

Sottintendeva: per l’organizzazione della Sua commemorazione odierna. Che tutto sia perfetto penso sia qui da vedere, da condividere. Che l’odierna testimonianza di stima e di affetto perduri, immagino anche per voi, sia un voto da pronunziare.

Riprenderei quanto diceva Manfred per dire che un ricordo di Angelo Conti Rossini può essere riassunto, alla fine, in questo dicton:

«Wenn es dir möglich ist, auch mit
nur einem kleinen Funken
die Liebe in der Welt zu bereichern,
dann hast du nicht umsonst gelebt.»

È deceduto in bicicletta, vittima del suo cuore “un pò troppo turbolento”.

Lo scrisse Cyril Nicod dieci anni fa in G & T: «J’ai eu le privilège de le côtoyer longuement dans une clinique où nous étions tous deux victimes d’un cœur un peu trop turbulent.» Ed aveva premesso che una persona eccezionale, con un percorso di vita come quello di Angelo, «n’économise pas son homme.»

Grazie mille, Angelo! è il titolo di Peter Suter nella NZZ del 23 marzo 1993. «…Der Tessiner war Sozialist, Kommunist und so etwas wie ein Anarchist, aber in späteren Zeiten musste da wohl weitgehend von Tempi passati und von einer überzeugenden liberalen Haltung gesprochen werden. Angelo war ein Philosoph. Während sich andere Restaurateure über Hürden und Bürden beschwerten, meinte er: ”Haben wir nicht einen schönen Beruf ? Die Gäste kommen freiwillig zu uns, sie bestellen in der Regel das, was wir ihnen empfehlen, dann bezahlen sie alles, und am Schluss sagen sie noch Grazie mille!”»

Tra le altre testimonianze di 10 anni or sono i due ultimi capoversi del pezzo di Frédy Girardet, in Gastronomie & Tourisme, racchiudono l’uomo e il professionista d’alto valore. «On ne pouvait qu’être l’ami de Angelo, qui savait faire de chaque rencontre un moment privilégié. Il y a quelques années lorsqu’il fut hospitalisé à Lausanne, c’était lui le battant et l’optimiste qui me racontait le tour du lac à vélo et les paysages de son cher Tessin. Et n’oublions qu’avant tous et le premier en Suisse, Angelo Conti Rossini s’est fait connaître au-delà des frontières régionales et nationales. On venait de loin découvrir son ”Giardino”, sa cuisine et son hospitalité. On en repartait riche d’une nouvelle amitié.»

Ne Il mio libro (1986) Angelo Conti Rossini egli fornì una sua lunga confessione in pubblico, raccontando tutta la sua carriera: una sorta di slow motion in cui è possibile cogliere le sue emozioni, le sue gioie, i suoi riconoscenti omaggi alle persone cui si riteneva in debito di gratitudine. «Un lungo periodo durato trentacinque anni, un apprendistato di vita, dove il sole si alternava alle nuvole, dove le bufere hanno lasciato il loro segno, ma se certe cose non sono state fatte come Dio comanda, è sempre stato per debolezza umana, mai per cattiva volontà o per calcolo.»

Scrive Stefano Ghiringhelli, tra l’altro, nella sua testimonianza di questi giorni: «Era nata così un’amicizia fra la nostra famiglia e Angelo, che mio suocero – Libero Olgiati, insigne uomo politico e illuminato gastronomo (ndr) – aveva contribuito a far conoscere, amicizia fatta d’eventi culinari, ma anche d’accese discussioni politiche e talvolta litigate, iroso mio suocero, ma iroso anche Angelo.»

Sperimentai di persona qualche sua ira, non senza mia responsabilità.

A fine giugno del 1983 s’inaugurò il Giardino di Ascona. Nella mia nota settimanale (3 luglio), se ne ricorderà il qui presente direttore di allora, riferii esordendo che Hans Leu aprì la cerimonia felicemente, dicendo: «Ora due parole in lingua tedesca, che sarà sempre la seconda lingua, perché la prima di tutte sarà l’italiano.» Continuai l’articolo con una bastonata all’imprenditore, iniziatore-proprietario-promotore del nuovo complesso (Hans Kündig, poi sparito nell’oblìo), per non essersi nemmeno degnato di pronunziare un “buona sera”. E, montanellianamente, descrissi con pungente caricatura il tipo di realizzazione attuata da persona forse dotata di milioni, ma di scarsa, inesistente, educazione.

Negli altri tre quarti del pezzo, come giusto fosse, dedicai simpatia ed elogi ad Angelo Conti Rossini, ad Alois Brünner e Hans Leu. La mattina stessa della pubblicazione, Angelo mi telefonò, arrabbiato, dicendosi meravigliato, perché si sentiva “distrutto e tradito” da uno dei suoi migliori amici. Lasciai sbollire la sua ira, anche perché mi disse che «vedendo paragonato il nuovo complesso alle terme di Montecatini, non ho più voluto andare avanti.» Gli raccomandai di leggersi tutto l’articolo, di giudicare poi. Accettò e l’indomani mi richiamò per dirmi: «ti devèt vignii giù». Così feci, ci sedemmo e, davanti ad una flûte, chiarimmo; tutto ridiventò come prima.

La sua evoluzione politica è stata continua: comunista, socialista, anarchico, liberale.
Nel febbraio 1981 fu alle esequie di un suo amico coetaneo, l’artista Guido Bagutti massone, deceduto improvvisamente a 58 anni.

Angelo ne rimase colpito. Mi domandò qualche cosa sui principi della Massoneria. Qualche anno dopo, avendo maturato l’idea lungamente (1985), chiese di esservi ammesso. Cosa che avvenne l’anno dopo. Trovò di che appassionarsi. Studiò accanitamente, da lettore ghiotto e intelligente. Si fece una sua nuova cultura. Tra i suoi lavori ve ne sono parecchi che meriterebbero citazioni. Noto solo come si avvicinò alla fede e alla ricerca della verità:

«Sant’Agostino – il filosofo nato pagano in Africa (Tagaste, 354-Ippona, 430) battezzato a Milano da Ambrogio. Non vedeva alcun conflitto tra la ragione e la fede. Infatti, la fede è un impegno preliminare ad ogni ricerca di verità. Come si può cercare la verità senza aver preliminarmente fede nella sua esistenza? Perciò la fede non costituisce un ostacolo né un limite all’uso della ragione; essa (la fede), anzi, ha valore di stimolo e di guida alla ricerca razionale.»

Rimase sempre, in fondo, la persona più sensibile ai problemi sociali, non disdegnando tuttavia l’ambiente della sua clientela, per davvero un tantino “su”. Le sue battute avevano spesso quel sottofondo del suo animo sensibile. Alcune sono diventate celebri.

Come quella volta a Eugenie-les-Bains, dove ci aveva portati (1982) il suo amico Tito Tettamanti. Lusso, sfarzo e atmosfere ovattate. Appuntamento al bar dopo la doccia ristoratrice. Colpito da tanto benessere, schiude il suo sorriso foriero di una delle sue. Ecco qua: «Sarà un’ingiustizia sociale, ma poter fare il “signore” ogni tanto è anche bello; meglio che avere uno sciame di api che ti ronza dietro il sedere e le braccia troppo corte per cacciarlo via!»

Per questa sua immediatezza si è sempre guadagnato simpatie e amicizie.

Lunga, incrollabile, quella con i nostri ospiti di questa sera: Manfred e Christina Hörger. Risale agli inizi degli anni ottanta. Insieme a lui, insieme a Marco Solari, curarono il diner di gala al Monte Verità per i reali di Svezia in visita ufficiale in Ticino. Da allora, non fece che consolidarsi. Credo che Angelo, persa la sua adorata Miriam, trovò qui una seconda casa famiglia.

Per questa ragione Manfred, memore della gran festa che organizzò in questa stessa sala per festeggiare i 50 anni di professione di Angelo (ottobre 1988), ricordandoci un mese fa del 21 marzo del 1993, disse: «Lo dobbiamo onorare, ci penso io!» L’altro amico Giuseppe Bava, accettò subito di venir qui a cantare.

Ecco l’influenzaccia che gli impedisce di essere qui: ci priva di un quarto d’ora di Romanticismo. A lui gli auguri di rimettersi bene.

Quattro settimane fa sboccia l’idea di scrivere una monografia in ricordo. Coinvolgo Alberto Dell’acqua che ben lo conobbe e che, nella sua prestigiosa rivista G & T ne parlò spesso. Allacciate le cinture, si parte. Con ottima collaborazione siamo riusciti a compilare lo ZIP alla casa editrice. Nel contempo ho trovati gli sponsor: con immediatezza hanno garantito la copertura dei costi. Grazie!

A voi, cari ospiti del Savoy e amici, di giudicare se il lavoro sia riuscito. Ce l’abbiamo messa tutta. Un capitolo della stessa credo sia riuscito: quello intitolato “Senza parole”, ovvero Angelo raccontato dalle fotografie inedite di Alfonso Zirpoli. Lorenzo Albrici, il talento della cucina ticinese che con Angelo ha lavorato qui al Savoy, dalla sera alla mattina ha eseguito e fatto fotografare i piatti “tre ricette di Angelo.” Se qualche stecca, alcune omissioni sono state commesse, chiediamo venia.
Soprattutto, chiediamo venia a quell’illustre figlio del Ticino che si chiamava Angelo!”

Un diner voluto dai coniugi Cristina e Manfred Hörger, che è stato realizzato dagli chef Alois Brünner, Rolf Laible e Lorenzo Albrici.

Trascriviamo per un perenne ricordo il menu con le ricette di Angelo Conti Rossini:

> Aperitivi diversi dalla cucina del Savoy

> Terrina di anatra classica con cespuglio di insalate primaverili, vinaigrette al vecchio balsamico tradizionale e brioche tiepida

> Trancio di trota salmonata alla moda di Angelo con vellutata al vino rosso, porri e sfogliata al rosmarino

> Sella di agnello in abito verde (roulade), patatine e primizie leggermente trifolate, glassate al fondo bruno

> Assaggio di formaggio “Bedretto” di Diego Orelli

> La “scodela Dimitri” e assaggio di mousse al cioccolato Stella

> Biscottini Angelo con caffé

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Molti i contributi nel volume: Angelo Conti Rossini, 10 anni dopo.

Questo il pezzo scritto da Enrica e Rocco Lettieri:

In memoria di Angelo Conti Rossini

La fortuna ha voluto che già negli anni ‘70, giovanissimo, sentivo in me il piacere della buona tavola e del buon vino. Correva l’anno 1972, mancavano pochi giorni al mio matrimonio, e per l’addio giovinezza, scelsi di andare con gli amici Sergio e Severino a cena da Angelo Conti Rossini di Brissago. Era da poco uscito un articolo su Epoca che lo elogiava come uno dei più bravi del Ticino. Ho ricordi nitidi del menu: mousse di pernice, salade de coquilles St. Jacques, oxtail clair, patè de saumon + scampi, croquette de ris de veau, le sorbet, ballottine de canard, le fromage, la scodela Dimitri. Vini : Champagne L. Roederer, Aigle Les Murailles e Beaune Clos de Mouches di Drouhin. Una cena indimenticabile che segnò l’inizio della conoscenza con Angelo che da allora si consolidò e sino alla dipartita di dieci anni fa.

Lo ricordo, sempre di sabato, quando con il suo amico Max veniva a Cantù, nel mio panificio a comperare il pane con l’uvetta e quello con le noci e sempre, si mangiava, in piedi, calda, un bella baguette ripiena di mortadella di Bologna tagliata fine fine con un bicchiere di vino che ogni volta cambiavo e che apprezzava anche come conoscenza di vini italiani, Cà del Bosco in primis, che poi ha sempre tenuto in carta.

Tra i miei ricordi più belli, la sua scuola di cucina. Eravamo negli anni ‘90. Ricevo la sua raccomandata: “Caro Rocco, la mia Agorà è aperta. Che ne pensi di una serata gastronomica come ai bei tempi + scuola? Se sei interessato metti 5 amici + te in macchina e vieni a Brissago, parteciperete dalle 16.00 in avanti alla preparazione della cena, da noi scelta. Ciao, vedrai che sarà bello. Angelo”.

Numerosi gli articoli sul Simpatico, sempre con titolo: Agorà, sotto il segno del successo. Le lezioni, sempre di sabato, si sono susseguite con tanto entusiasmo, tra un carosello di ricette di alta professionalità e lo stupore per la semplicità con la quale lui le insegnava con “diabolica abilità e disarmante rapidità”.

Un giorno chiesi, Angelo come posso definire la tua cucina: “La mia è una mescolanza di gastronomia regionale, ispirata agli insegnamenti francesi, ma con molta libertà e fantasia…”. Non poteva essere diversa, da anarchico convinto qual’era. Da lui si poteva davvero scoprire il grandissimo amore che aveva per la cucina, bastava andare una sola volta nella sua Agorà, vederlo cucinare, stare insieme, per rendersi conto che per lui “creare in cucina” era una cosa innata, una gioia. Tanti i ricordi e i momenti, tante le ricette che ci ha lasciato: tra le più emozionanti, la minestra di lenticchie, la crema di legumi, il fegato d’oca in stampo, il rombo al Barbera, gli scampi in gelatina, l’insalata gourmet, la mousline di luccio, il sorbetto al the, il gelato vaniglia.

Grazie Angelo di esserci stato amico, la tua parte migliore ci è rimasta, e per sempre,

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COLLEGAMENTO GASTRONOMICO TRA BRIANZA E CANTON TICINO

Testo del discorso tenuto da Angelo Conti Rossini a Figino Serenza (Como), Villa Argenta, in occasione di un incontro organizzato dalla Unione Simpatizzanti del Vino di Cantù, nel 1988, con alla presidenza Rocco Lettieri e pubblicato sulla Rivista IL SIMPATICO nel 2° trimestre del 1988.

“Il collegamento gastronomico fra Lombardia in generale e Brianza in particolare con il Canton Ticino non è più da dimostrare. Altri meglio di me hanno saputo centrare il problema. Resta a mio parere una finestra di curiosità su cosa era il Ticino, sempre gastronomicamente parlando, un paio di secoli or sono. Costruire un Ticino di richiamo per il buongustaio o semplicemente per l’amante della buona tavola, non fu lavoro facile. Fino al 1803 la nostra regione non godette certo di libertà. Eravamo un baliaggio della non ancora definitivamente costituita unità elvetica. Non tutti i Balivi erano o furono dei tiranni; ci fu fra di loro qualcuno che ebbe il fiuto di lasciare ai posteri qualche elemento storico di importanza capitale per capire ciò che accadeva allora. Uno di questi, ultimo per sequenza ma non per intelligenza, fu il rappresentante basilese Bachlin che aveva la sua sede a Cevio in Vallemaggia. Non si contentò di descrivere nelle sue memorie i processi, i litigi dei ticinesi fra loro, i rendiconti per i suoi superiori, ma dedicò una parte dei suoi ricordi al mondo e alle usanze diciamo venali dei suoi sudditi. In fondo un racconto sarebbe stato incompleto, se non avesse tenuto conto del modo di nutrirsi, di abitare, di vestirsi dei nostri antenati. Eccovi quanto scriveva il nostro alla fine del ‘700, pochi anni prima che il Ticino venisse colto in seno alla Confederazione Elvetica, cioè nel 1803: “La maggior parte degli abitanti del mio baliaggio, particolarmente nelle valli, è molto povera. Fra di loro ce ne sono di talmente poveri che seccano le vinacce, le polverizzano, traendone così un prodotto che rimpiazza la farina. I nostri gendarmi hanno potuto vedere durante le loro visite di ordinaria amministrazione altri cittadini mangiare bucce di zucca essiccate, messe a bagno il giorno prima, e cotte in acqua, realizzando così una specie di minestra. Ci sono anche contadini un pò più benestanti, ma anche loro adoperano la farina di castagne quale elemento principale per la cucina e per farne del pane. Questi contadini, pur più fortunati della maggioranza, sono però una piccola parte della popolazione. Comunque solo pochissimi sono ricchi”.

E continua il suo discorso più avanti:” Anche nella regione di Lugano, molti cittadini sono poveri, per non dire molto poveri, e vivono molto miseramente. Prendono farina di gran turco o miglio; mescolandola all’acqua realizzano una pappa, sopra la quale, solo quando c’è, versano un pò di burro; questo impasto lo chiamano”bollenton”. Notate che questo è quasi sempre il loro pasto quotidiano. Ma anche il contadino medio non vive meglio dei pazienti dei nostri”spitali”. Se un povero cristo, in occasione di una giornata di festa, non può permettersi il burro, allora si reca personalmente dal”beccaio” e dopo l’acquisto, con grande fierezza si avvia verso casa con la coscia sulla spalla a mò di trofeo”. Ma il nostro acuto osservatore conduce la sua inchiesta (giornalistica si direbbe oggi) ancor più in profondità:” La miseria della tavola rispecchia anche la miseria nell’abitare. In una cucina oscura ed affumicata, che molto spesso al posto dei vetri ci trovi della carta, e questo anche durante l’inverno, vive tutta la famiglia. Lascio a voi pensare alle loro condizioni fisiche e morali. Per loro fortuna l’inverno non è così rigido e lungo come da noi a Basilea. Pure al loro bestiame non è riservata sorte migliore; invece e al posto della paglia le bestie le fanno dormire su di un letto composto da due specie di”cannette”. Stesso prodotto che viene raccolto nelle paludi e che da noi serve ai gessatori per costruire i plafoni nelle case. Sono per la verità un pò più morbidi delle nostre. Ci rendiamo facilmente conto delle condizioni di queste povere bestie durante il loro riposo. Ma perché dovrei accentuare il mio discorso sulla situazione delle bestie, quando il padrone di casa meglio non sta! Il giaciglio del padrone è fatto di una bisaccia riempita di foglie di castagno, buttato li su di una panca di legno. E’ su questi sacchi di foglie che riposano questi poveri diavoli coperti solo dai loro miseri vestiti. Coloro però che sono più fortunati posseggono delle lenzuola di canapa e lino e una coperta di lana. I più fortunati ancora posseggono materassi di lana e qualche volta addirittura coperte di Damasco o dell’Atlas marocchino. La sala o”stube” da noi non la si trova che raramente, anche tra i facoltosi. La loro ipocrita scusa è che non sopportano il calore delle stufe o delle pigne e l’odore che emanano. Ma quando sono invitati a castello questi pochi fortunati li trovi appiccicati attorno alla stufa, provocando in me una compassionale ilarità per il loro comportamento. Ma anche queste minoranze di benestanti e possidenti vive molto spesso in situazioni di ristrettezza. La loro fortuna è spesso investita in beni immobiliari o in affari di reddito dubbio, molto spesso poi i debitori visto il loro stato di miseria non sono in grado di restituire loro l’interesse del prestito ricevuto. Solo quando si tratta di salvare la reputazione e la faccia, nei giorni di festa non si guarda per il sottile; le donne alla Santa Messa sono adornate di anelli, collane, orecchini e gingilli vari come croci dorate. Le placche ed i fili dei manti spesso ricamati d’argento e anche d’oro”.

Qui finisce la descrizione del nostro e se ho voluto raccontarla è solo per dimostrarvi che su di un simile terreno certo non si poteva costruirci sopra né una tradizione, né tanto meno una cultura gastronomica. Ancora una volta il Ticino ha dovuto subire il flusso dei venti stranieri per cambiare sostanzialmente la sua posizione. Dopo l’entrata nella Confederazione non è che la situazione economica fosse migliorata. C’era sì un bastone nuovo, ma l’asino era rimasto quello vecchio. Ecco quindi che i ticinesi furono costretti a seguire la triste strada dell’emigrazione, verso l’Australia, l’America del Nord e del Sud, la Francia, la Germania. Illusi, attratti dal facile guadagno, costretti dalla miseria a cercar fortuna altrove, una legione di poveri vallesani cercarono lavoro nei più disparati settori. Fra questi, diversi scelsero proprio la nostra professione e forse è proprio a loro che dobbiamo le novità e le conoscenze, quelle cioè che ci hanno permesso di elevare a poco a poco il Ticino e portarlo ai livelli attuali di qualità di vita e di presa di coscienza delle nostre capacità nel settore proprio della gastronomia. E’ verso la fine del secolo scorso che comincia dunque l’avventura dei nostri predecessori in Italia. Nel 1901 due miei zii, fratelli di mia nonna, operano quali chefs-patissieres e chef di cucina a Firenze. Possidenti brissaghesi investono soldi in alberghi e ristoranti a Milano, diretti da loro concittadini cuochi o camerieri. Altri trovano la via dell’America e fondano alberghi. Altri ancora si addentrano nella capitale dell’Italia per dirigervi quali direttori alberghieri rinomati. Mio padre stesso inizia il suo apprendistato a Milano quale panettiere pasticciere a soli 12 anni. Il loro bagaglio di conoscenze e formazione lo riportano poi a casa nostra, miracolo. La bellezza della nostra zona, la disponibilità e affidabilità italica della nostra gente a poco a poco attirano forestieri e operatori turistici. Vengono costruiti i primi alberghi: si potrebbe quasi dire che l’indole di landfogti degli svizzeri tedeschi si realizza in altri modi…Mentre i nostri scoprivano l’estero loro malgrado, gli altri calavano dal Nord scoprendo nel Ticino il loro Eldorado per l’industria alberghiera. Venne finalmente il momento dove noi stessi vi fummo coinvolti, quali protagonisti di questo affascinante processo in atto. Nel 1938 io stesso fui spedito a Zurigo per l’apprendistato, appena quindicenne e all’oscuro di tutto quello che la vita mi avrebbe offerto in seguito, ma animato da tanto entusiasmo e tanta voglia di imparare. Comincia così la mia lunga carriera che prosegue tutt’ora, dopo ben cinquantadue anni di attività, che ho speso in gran parte anche a favore di una comunità che è la mia realtà, dove vivo ancor oggi, nel piccolo borgo di Brissago sul Lago Maggiore. Una vita spesa con fierezza, non nascosta, a favore dell’ospite che tanto ci ha dato e non da ultimo con questa nostra attività, credo di aver contribuito ad intensificare l’interesse delle persone verso quella parte di vita giornaliera che è la tavola. La cucina cessa in fondo di essere un bene esclusivo di pochi: noi abbiamo partecipato alla sua divulgazione. Certo, è stato un lavoro e chiaramente ci sono voluti gli uomini di penna e le guide gastronomiche, ma tutto ciò poteva forse esistere se ai fornelli non ci fosse stato un cuoco disponibile a vivere PER la sua professione prima di poter vivere DELLA sua professione? Ecco, in fondo il messaggio che voglio portarvi in questo contesto. Nessun luogo e nessun tempo sanno UNIRE le genti quanto la tavola. Un giorno ridendo sostenni questa mia tesi con una giovane coppia. Mi risposero: “Sì, ma il letto è ancor meglio!”. Certo, dissi, ma provate un po’ a mangiare prima e vedrete che sarà più bello ancora! In quarant’anni di attività in proprio ho potuto e quasi sempre saputo far felici persone che sole o in compagnia ebbero la fortuna di frequentare il mio locale. Mi ricordo di un articolo sul”Corriere delle Sera” di molti anni fa, dove si parlava di gastronomia dei laghi. Fu quello in un certo senso un primo tentativo di abolizione delle frontiere! L’Italia penetrava nel Ticino che con entusiasmo corrispondeva questo interesse ed entrambi avevano scelto una nuova bandiera: quella della buona cucina. La scelta che fu operata a suo tempo dalla Guida Michelin, inserendo il Ticino nella guida italiana ne è stata la dimostrazione lampante. Forse proprio i cuochi prima dei politici hanno capito la necessità di un’Europa unita. Chiudendo questa mia esposizione, mi auguro di poter godere nel prossimo futuro di una buona salute, alfine di poter continuare sulla strada che ho scelto e mai abbandonato, ancora per qualche anno, a favore di coloro che hanno capito quale ruolo sociale cruciale il cuoco può e deve svolgere!
(Angelo Conti Rossini)

a cura di Rocco Lettieri per una serata memorabile

30 marzo 2003