MEMORIAL su GINO VERONELLI

ADDIO A VERONELLI: IL SALE DELLA TERRA

Memorial per Luigi Veronelli A cura di Rocco Lettieri

A 78 anni, il più grande Maestro di enogastronomia ha lasciato la vita terrena per andare a brindare in cielo con gli amici Giacomo Bologna e Gianni Brera. Se ne andato fisicamente ma ha lasciato un patrimonio di cultura che non potrà mai scomparire. Queste le parole di uno dei presenti al funerale svoltosi il giorno 1 dicembre al Monumentale di Bergamo con una folla di amici, produttori, ristoratori, giornalisti, estimatori e …allievi.

Ognuno di noi deve qualcosa a Luigi Veronelli. Da tempo non stava bene. L’avevo incontrato, all’inizio dell’estate e disse di avere qualche problema con il fegato. Poi un’operazione il 24 ottobre scorso, e la scomparsa lo scorso 29 novembre.

Domenica 28 novembre, ha pubblicato l’ultimo suo pezzo sul Corriere della Sera dal titolo: “Brunello “sinfonico” che così iniziava: “Repetita iuvant. Il primo libro da me edito -1956, pensa tè- è il Dizionario dei Proverbi Italiani. Nasceva da appassionate ricerche giovanili, per far base alla fine- data l’eccellenza dei loro scritti – sulle opere di Giuseppe Giusti e Gino Capponi……”

L’1 dicembre 2004 sarà per molti una data da ricordare. Una data per andare a Trescore a trovare un amico che riposa con una bottiglia a fianco. Commovente l’ultimo abbraccio al cimitero monumentale di Bergamo da parte di tanti, tantissimi amici (non abbiamo notato alcuna personalità della città che lo ospitava – cattivo segno di civiltà – ) con in testa i nipoti Zeno, Luca ed Elena, che con poche parole hanno ricordato la fierezza del nonno Gino. Anche la presenza della Banda degli Ottoni ha regalato ai presenti, ripeto tanti, struggenti momenti di lacrime. L’alternarsi al microfono di personaggi semplici e “mitici” ha contribuito a non annoiarsi per chi si è attardato, e anche per tre belle ore in piedi, al freddo di una mattinata d’inverno riscaldata in quelle poche ore da un livido sole. Sarà stato un segnale dal cielo di Gianni Brera, Vincenzo Buonassisi, Giacomo Bologna, e tanti produttori e ristoratori che lo stavano aspettando.

Ho conosciuto Gino nel lontano 1978, nella Sua Bergamo Alta. M chiamò per sapere di più di quella “Unione Simpatizzanti del Vino” di Cantù di cui tutti parlavano. Portai a Lui alcuni pani speciali (francesone tipo Pan de Comm) e si commovve. Mi raccontò dei suoi nonni panificatori a Milano. Mi disse: “Rocco quando vieni a trovarmi – vieni spesso – portami sempre del buon pane, tuo, – il vino lo metto io”. E’ sempre stato così. Ho ricordi forti delle sue parole e dei suoi scritti, che tutti noi conosciamo. Avevo (ed ho ancora) due libri sul comodino: “La cucina impudica – Ricette segrete di una donna di mondo rivelate a chi intenda diventarlo” con la Sua prefazione…le livre de chevet…dai tempi giovanissimi e giovani, nessun libro mi ha più divertito per la sua inverecondia e, assieme, l’empietà. Sempre della Derive Approdi di Roma, “Alla ricerca dei cibi perduti – Guida di gusto e di lettere all’arte del saper mangiare”. Prima edizione nel 1966. Ripubblicato nel marzo del 2004. Un volume che è un insieme di guida e ricettario. Veronelli sa scovare non l’irrimediabilmente perso, ma l’ostinatamente vivo. Mi piace ricordare GINO che queste frasi di quarta di copertina: “Ma per Veronelli guidare il lettore significa innanzitutto stupirlo con nomi, origini, aneddoti e racconti popolari, alla ricerca di una lingua propria e non presuntuosa per dire di cibi perduti per insipienza o trascuratezza, oblio o dimenticanza. Allo stesso modo, dare le istruzioni per la preparazione di un piatto significa tramandare un sapere sul cibo e sul mondo che lo circonda, iniziare il lettore alla ripetizione di un gesto non più familiare”. Graie GINO. Noi non ti dimenticheremo. Brindo con Te alla Vita.

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Nato a Milano nel 1926, Luigi Veronelli è stato un maestro della cultura enograstronomica, ma non solo; ha speso oltre cinquant’anni della sua vita in battaglie, intuizioni, stimoli, idee a favore dell’agricoltura e di una cognizione del gusto che tenesse assieme la sensibilità sociale. In gioventù fu assistente del filosofo Giovanni Emanuele Bariè (con cui pubblica la rivista Il Pensiero) e collaboratore di Lelio Basso (edita I problemi del socialismo). È stato amico di Luigi Carnacina (con cui ha redatto testi importanti come La grande cucina, Mangiare e bere all’italiana, La cucina rustica regionale), di Gianni Brera (con cui è autore di La Pacciada), di Giangiacomo Feltrinelli (a cui fa pubblicare, imperdibili, Mangiare da Re di Nino Bergese e il suo Alla ricerca dei cibi perduti, ripubblicato da DeriveApprodi nel 2004), dell’architetto-designer Silvio Coppola, di Mario Soldati. Condannato a sei mesi di carcere per istigazione alla rivolta dei vignaioli piemontesi (oppressi da burocrazia e contrastati dai grandi monopoli) e a tre per la pubblicazione di De Sade (l’edizione di Storielle, Racconti e Raccontini, 1957). Negli anni Sessanta e Settanta è autore di trasmissioni televisive, in particolare A tavola alle sette, con Ave Ninchi, sulla cultura dei vini e dei cibi, di grande efficacia ed eleganza.
Se oggi i vini, la cucina e i giacimenti gastronomici italiani stanno avendo uno straordinario successo nel mondo, buona parte del merito è di quest’uomo che, con perseveranza, determinazione, rigore e cultura ha saputo individuare e indicare giuste linee di progresso e, con pregnante tensione etica, fare strada, trainare.
La teoria dei cru, l’elevazione dei grandi vini, la limitazione delle rese per ettaro per favorire la qualità e non la quantità, il recupero dei vitigni autoctoni, la vinificazione in luogo, la classificazione dei vini con puntuali esami organolettici, la teoria della distillazione secondo monovitigno, sono solo alcune delle intuizioni, delle lotte e delle vittorie condotte in cinquant’anni.
Da parecchi anni scriveva su “Corriere della Sera”, “Carta”, “Libertaria” e su “Veronelli EV”, rivista da lui diretta. I suoi libri più recenti: Le parole della terra (assieme a Pablo Echaurren); Viaggio in Italia per le città del vino; Vietato Vietare; Breviario libertino; per le edizioni DeriveApprodi ha scritto le prefazioni a tre libri dallo spirito libertino di autore anonimo: La cucina impudica, La cuoca di Buenaventura Durruti, La cuoca rossa, e assieme al collettivo tl/cw – redatto il volume Terra e libertà/Critical wine. Sensibilità planetarie e rivoluzione dei consumi.
È stato anche fondatore e membro della Giuria del Premio Letterario Internazionale Nonino, “Risit d’Aur”.
Resterà nella storia la sua affermazione: “Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale”. Era chiamato il principe dei giornalisti enogastronomici ma lui si scherniva dicendo: “Non è vero. Io sono il più vecchio”. Un vero maestro che ha aperto un solco di conoscenze materiali e filosofiche e di lettere ad ampio raggio.

Lo scorso anno, a dicembre, fu presente allo Swiss Diamond Hotel per la presentazione delle GUIDE Oro di VERONELLI, che da ben 14 anni comprendono il Ticino – Ristoranti e Vini – e lasciò un segno della Sua presenza che ancora oggi molti ricordano. Teleticino dedicò a questo evento ben un’ora di trasmissione con Marco Bazzi alla presenza di tre produttori e tre ristoratori. Un evento mediatico di grande impatto. A Teleticino erano già pronti a riproporre una nuova trasmissione. Ci mancherà.

Rocco Lettieri

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Gino, una vita “contro” ma per costruire

Sulla figura di Luigi Veronelli, Gino per gli amici (e per i nemici), e sulla sua recente scomparsa si sono ormai scritti fiumi di inchiostro. Sempre più difficile allora aggiungere qualcosa: la retorica è dietro l’angolo. L’enogastronomo, il filosofo, il polemista, l’anarchico, il letterato, lo sportivo, l’amante della musica, della pittura, delle donne e “continua continua…” (così lui avrebbe scritto nella sua pirotecnica prosa, invece di un banale “e così via…”). Come interpretare con un’unica chiave di lettura le così tante sfaccettature di una personalità poliedrica e complessa? Forse, il comun denominatore di tutto ciò sta nella fede che Veronelli aveva nell’uomo e nella T/terra, e nella simbiosi fra queste due entità, tutto il resto è una logica conseguenza: la sua insofferenza verso qualsiasi forma di “sovrastruttura” socio-economico-politico-religiosa non poteva che derivare dall’amore che egli nutriva per l’uomo, in quanto adorato figlio e al contempo diletto servitore della Madre Terra. Ma tant’é.
Ciò che conta sono le sue battaglie, il suo impegno, la sua viscerale passione in tutto ciò che faceva; non esiste una sola attività intrapresa da Veronelli che non sentiva sua, “in toto”. Parlando di enogastronomia gli si deve tantissimo sul piano della crescita qualitativa degli alimenti, dello sviluppo della cultura del cibo e del vino in Italia, dell’adeguamento di leggi obsolete modellate sulle esigenze dei “padroni del vapore” a più moderni criteri dettati innanzitutto dal buon senso, il che vuol dire tutelare la qualità, il lavoro dei contadini, il frutto della loro fatica, la T/terra. Anche se in verità su quest’ultimo aspetto c’è ancora molto da fare, per esempio per quanto concerne l’olio extra vergine di oliva, una delle ultime – purtroppo incompiute – campagne veronelliane, e una fra le più difficili fra l’altro: qui lo scontro con le multinazionali è ancora più diretto rispetto a quanto accaduto anni addietro con il vino. Ma Gino è stato anche il capostipite di un genere di giornalismo – quello enogastronomico – che, fino agli anni Settanta, non esisteva, se non nella sua persona: di conseguenza lui ha inventato “tutto”, a partire dal linguaggio e dal modo di intendere e degustare i vini, che non doveva essere tecnico, bensì affabulatorio e coinvolgente; si dovevano tracciare degli input, delle diritture, degli obiettivi che poi chi di dovere avrebbe dovuto tradurre in indicazioni normative atte all’esaltazione della qualità. Veronelli regalava suggestioni, i migliori le capivano, le facevano proprie e le rendevano operative. Eppure da “non tecnico” le intuizioni del Maestro (ma lui non amava questo appellativo) erano sempre sorprendentemente geniali nel loro essere provocatorie ma costruttive al contempo (e già perché il Gino era uno dei rari uomini “contro” che volgevano la loro “rabbia” verso la costruzione piuttosto che verso la distruzione), sempre anticipatrici dei tempi. Quello che Veronelli ha lasciato dunque è anche uno stuolo di allievi e seguaci, che lo hanno amato, emulato, odiato, scimmiottato, esaltato, tradito. Chi in buona fede, chi meno, chi su un piano di lealtà, chi colpendolo alle spalle, chi seguitando a stargli vicino con sincerità e quasi con devozione, chi per vivere di luce sua. Una cosa è certa, chi lo ha criticato accusandolo di essere estremista e donchisciottesco ha capito nulla del suo pensiero. E’ chiaro che molte sue affermazioni sono paradossali, provocatorie, anche “esagerate” se si vuole. Ma se ci si ferma alla lettera delle sue battaglie si coglie solo la punta dell’iceberg del suo pensiero, quella – appunto – che deve pungere, ma è sotto il pelo dell’acqua che stanno gli altri nove/decimi del suo messaggio, quelli che servono per costruire. Dunque, capire “il” Gino è tutt’altro che facile, ma uno sforzo in più il suo personaggio lo avrebbe meritato. Senza i suoi ragionamenti iperbolici saremmo ancora qui a sentirci dire: “vuole del bianco o del rosso?” Le rivoluzioni (quelle vere) non sono un fine, ma un mezzo; uno strumento di rottura costruttiva per un salto evolutivo, non una scelta di velleitaria, autolesionistica distruzione. Chi non ha capito questo, chi è rimasto scandalizzato della dialettica amicizia fra il grande vecchio e i giovani estremi dei centri sociali, chi ha criticato certe sue condotte (sacrosante da un punto di vista giusnaturalista, l’unico modo di intendere il diritto che il “nostro” accettava) che lo hanno portato in passato a delle condanne penali, chi pensa che certe sue campagne (come quelle dell’olio extra vergine di oliva) siano perse in partenza lasci perdere Veronelli, non se lo merita; si scelga il “bianco o rosso?” e tolga il suo composto disturbo.

Roger Sesto – Desio (MI) –

Arrivato il giorno 2 dicembre alle 14.30

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Caro Rocco, ecco qua, un paio di miei pensieri, di getto:

“Persona di notevole cultura che non faceva mai pesare il suo vasto sapere. Scrittore di una versatilità inesauribile, inimitabile, in possesso della lingua italiana come pochi. Di carattere mite, incapace di tener rancore, ma strenuo difensore delle sue idee originali e chiare. Esprimo l’augurio che sia ricordato non soltanto a parole, bensì istituendo magari – è un’idea – un premio annuale alla sua memoria.”

Carlito Ferrari (Grimod) – Canton Ticino –

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Potevi anche non condividere tutto quanto diceva, ma sicuramente tutti noi gli dobbiamo riconoscenza per essere stato il primo vero e forse inimitabile uomo della cultura del vino.

Giorgio Rinaldi – Como –

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Ciao Gino, ragazzo terribile. “Guardo i miei alberi qua fuori che vivono con me: qualcuno morirà prima – spero di no – qualcun altro morirà dopo. Questa è la morte. Sarà dolcissimo spegnersi”. Negli occhi stanchi e umidi di Luigi Veronelli c’era la luce di un sogno che neanche la morte sarebbe stata capace di interrompere. Il sogno laico e pur romantico dell’anarchista che crede in sé e negli altri: il progetto più semplice e più vero che, negando ogni possibilità di vita dello spirito, ripone tutte le proprie aspettative nella qualità della vita materiale. Il 29 novembre, a un anno di distanza da quell’affermazione, Gino se n’è andato per sempre lasciandoci qui a parlare di lui: finalmente affrancati da un’insanabile complesso di Edipo ed allo stesso tempo attoniti
per la sua rumorosa assenza.

Andrea Dal Cero – Bologna –

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Ho incontrato Gino Veronelli una sola volta nella mia vita, ed è stato – strano – come rivedere un vecchio amico. È accaduto esattamente un anno fa, il giorno in cui quest’anno è morto. Abbiamo registrato nei nostri studi di Melide una trasmissione sul gusto, sulla ristorazione, sul vino, in occasione dell’uscita delle Guide… Era un personaggio affascinante, un vero filosofo della vita. Un maestro. Uno di quegli uomini che, lo avverti subito, hanno qualcosa in più degli altri. E non è soltanto la celebrità, il nome che portano, a suscitare riverenza. È quello che percepisci nelle loro parole, nei loro sguardi. Ecco, Gino Veronelli, era un uomo così. E così lo ricorderò.

Marco Bazzi, dir. informazione TeleTicino – Melide – (Canton Ticino)

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Non l’ho conosciuto personalmente, ma ricordo il suo commento alla lettera nostra pubblicata sulla sua guida dei vini 2003. Nelle sue parole, in ogni occasione, non c’è mai superficialità, c’è sempre ricerca. Ritengo abbia vissuto una vita felice.

Loris e Gabriella Micelli – Udine –

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CIAO LUIGI
Il decano degli scrittori e dei giornalisti del mondo del vino è morto a Bergamo. Fabrizio Penna ed io avevamo poco più di 20 anni ed Enotime stava nascendo. Organizzammo uno dei nostri primi corsi a Bergamo in Città Alta, a pochi metri da Via Sudorno. Avevamo amici all’Eco di Bergamo che ci diede larga visibilità. Così Lui mandò Francesco Arrigoni, che allora era Suo segretario, a vedere che tipi eravamo: infatti Enotime era appena nata ma già collaborava con cantine che erano già grandi nel Suo cuore: Primo Franco, De Bartoli, Prunotto. Superammo l’esame e la settimana successiva venne Lui, a seguire come “studente” il nostro corso. Così scrisse di noi sul Corriere della Sera e su Famiglia Cristiana. Non abbiamo mai lavorato per Lui o con Lui ma siamo stati amici, a volte ci siamo incontrati, ci siamo sempre capiti. Come tutti nel mondo del vino, gli dobbiamo molto. Due anni fa gli avevamo promesso di andare a trovarlo durante il weekend con le bambine, si sa che a un plurinonno due teppistelle in più non potevano fare paura. Invece poi, come spesso succede, abbiamo rimandato, e rimandato e rimandato…..Ora Luigi Veronelli non è più qui con noi nel mondo fisico, così non possiamo più andare a trovarlo. Ecco, la morte ha il potere di fermare per sempre il tempo di chi se ne va, ma lo ferma un pochino anche per chi rimane. E in questo attimo di calma non possiamo non pensare che la vita di tutti i giorni non è che una corsa folle: non è giusto non trovare tempo per incontrare un amico, per cercare le risposte dentro a noi stessi, per giocare con i nostri bambini. Ci dispiace Gino se non ci siamo più visti, ma sappiamo che ci incontreremo in un’altra vita.
Ti vogliamo bene

Elisabetta e Fabrizio Penna – Colle Brianza (Lecco) –

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LA NOTIZIA di Papillon
Si sono svolti ieri a mattina a Bergamo i funerali di Luigi Veronelli, con una commemorazione laica che ha visto sfilare al microfono, davanti al monumento dei caduti, l’umanità varia che Gino aveva valorizzato. C’erano i ragazzi dei centri sociali, i vignaioli, i ristoratori, i giornalisti di settore. Tra i nomi noti Giorgio Pinchiorri, Antonio Santini, Angelo Valazza, Gianluigi Morini, Angelo Gaja, Maurizio Zanella, Beppe e Carlo Bologna, Giovanni e Marinella Minetti, Romano Dogliotti, la famiglia Ziliani, Gianola Nonino, quindi Gianni e Paola Mura, Cesare Pillon, Carlin Petrini, Gigi Garanzini, Francesco Arrigoni, Franco Ricci, Luca Maroni, Antonio Piccinardi, Angelo Solci. Tanti i vignaioli piemontesi che hanno portato una manciata di terra delle loro vigne, i sindaci delle De.C.O., l’esperto Riccardo Lagorio, Ettore Mancini e Padre Eligio. Per il Club di Papillon erano presenti Paolo Massobrio e Marco Gatti. Durante i saluti portati da una trentina di persone, è stato commovente quello dei nipoti di Veronelli che lo hanno ricordato come nonno. Di Veronelli si occupano oggi Il Giorno, Il Corriere della Sera e Il Giornale dove il critico Roberto Levi lo ricorda come il padre dell’enogastronomia in Tv.

Da Papillon di Paolo Massobrio

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Carissimo Rocco,
te la ricordi quella foto strepitosa che ci hai scattato durante il gala di presentazione alla stampa di Quorum? Eravamo alla Residenza alla Scala a Milano: voglio ricordarmelo così, unico e solare.
p.s. chissà dove ho messo quella foto!

Lorenza Vitali – Milano –

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Luigi Veronelli è stato anche per me e, soprattutto per me, un Grande Maestro. Quarant’anni or sono erano pochi quelli che si occupavano di gastronomia ad altissimi livelli. Il giorno che conobbi Veronelli eravamo in Portogallo, a Lisbona, in un lussuoso albergo, davanti ad un buffet. Mi propose “Andiamo altrove, troveremo sicuramente un posticino dove si mangia meglio e soprattutto
cucina locale”. Finimmo al mercato del pesce dove ebbi da lui due lezioni: prima di tutto si andò nel ristorantino annesso per sapere se ci avrebbero cotto il pesce che avremmo voluto comperare noi stessi (lui ovviamente) poi ci recammo nel mercato dove trovammo (sempre lui s’intende) uno splendido pesce spada che, il ristoratore ci preparò, semplicemente bollito ma con erbe e verdure trovate al mercato. Un filino d’olio e…un pranzo indimenticabile annaffiato con un vinello bianco che, grazie all’ottimo freschissimo pesce, divenne un nettare degli dei! Oltretutto mi aveva anche detto: “tra giornalisti ci si da del tu”. Pensa te, il Bosia che, fino ad allora aveva scritto poche righe e solo su ristorantini luganesi (è pur vero che fui il primo a farlo!), quale orgoglio di poter dare del TU ad un personaggio che già allora era un grande maestro.

Luigi Bosia – Lugano –

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Mi chiamava figlia; lo faceva con chi amava. Io lo sentivo padre, mi onorava il suo affetto, la sua stima. Gino aveva la capacità di far sentire tutti persone importanti, uniche. L’ultima volta che l’ho sentito a telefono, Veronelli stava entrando in ospedale per il terzo intervento al fegato. Era un mese fa. Quando ho chiuso il telefono ho avuto la certezza che non avrei mai più sentito la sua voce, la sua cadenza milanese resa dolcissima da una erre moscia più forte della mia. Mi ha detto poche cose, con voce stanca: “Hai scritto un bellissimo libro su Pina Amarelli, figlia, ed era un libro difficile…Ero sicura che lo avresti fatto bene, il tuo libro su Mario d’Ambra è il più bello dei miei “Semi”. E poi ha parlato di sè, per la prima volta: “Credo di essere stato giusto, ho vissuto con onestà intellettuale, spero di aver tracciato una strada. Ora tocca ad altri portarla avanti”.
Gino se ne è andato e si è portato un pezzo della mia vita. Oggi, leggendo le agenzie, vedo che si è portato un pezzetto di vita di tanta gente, vignaioli, ristoratori, contadini. Lunedì sera è stato proprio un operaio della mia cantina, Antonio, a darmi la notizia della sua morte. Era triste, eppure l’aveva visto solo un paio di volte. Ma bastava vedere Gino anche una sola volta, stringergli la mano forte, guardarlo in quegli occhi azzurri che non vedevano più, per sentirlo vicino, percepire che aveva una marcia in più, un’umanità traboccante che solo i poveri di spirito non riuscivano a capire. Persino il mio nipotino Pierfrancesco, 7 anni, quando ha saputo della sua morte, ha detto con un faccino triste alla mamma: e ora chi scriverà i libri sul vino? Debbo a Gino Veronelli tante cose: il successo del mio vino, innanzitutto. Era l’estate del 2000. Io stavo scrivendo “I grandi vini della Terra di Lavoro”, il mio primo libro “enologico”. Gino e Christiane erano venuti a Nerano a trascorrere qualche giorno di riposo alla Taverna del Capitano. Mi feci coraggio e chiesi a Veronelli la prefazione. Per parlare del mio lavoro ci incontrammo – era la seconda volta, la prima era stata un anno prima a Caserta – da don Alfonso. Al telefono, gli chiesi timidamente se avessi potuto portare al nostro appuntamento anche il mio compagno e il suo vino sconosciuto che volevo fargli assaggiare. Era il Casavecchia ’98: una “bozza” di quello che sarebbe diventato qualche anno dopo, “in mano” a Luigi Moio. Con somma meraviglia mia e di Peppe, Gino lo riconobbe subito. Lo aveva assaggiato “solo” quarant’anni prima a Bellona, prodotto da un certo monsignor Cantiello. Due settimane dopo incoronò il Casavecchia sul Corriere della Sera. Il pezzo finiva con parole profetiche: diverrà famoso e ricercato. L’anno seguente, l’8 marzo del 2001, venne nella nostra cantina a battezzare quella che fu l’annata super di Casavecchia e Pallagrello, il 2001. Fu l’anno dei Tre bicchieri e dei 5 Grappoli per il Casavecchia e soprattutto del suo luminosissimo Sole per il Pallagrello Nero.
Debbo a Gino anche la sua fiducia nella mia scrittura, e gli altri miei libri: quello su Mario d’Ambra nei Semi – quanto ci ha creduto in questa collana che raccontava le storie vere di chi aveva vissuto nella terra e per la terra – quello che uscirà a giorni su Pina Amarelli. A lui debbo anche le Guide scritte per la Hobby & Work sulla Campania, sulla Puglia, sulla Basilicata e la Calabria. E tanto, tanto calore. Tutto quello che ha detto e scritto negli anni si è avverato, è divenuto importante: le sue battaglie per i cru, le DE. CO., l’olio extravergine d’oliva, nelle quali credeva con tutta l’anima e per le quali ha girato fino a qualche mese fa in lungo e in largo l’Italia. Fino all’ultimo ha fatto guerre feroci contro le multinazionali, lo ricordo felice come un ragazzino quando l’anno scorso bloccò, con un gruppo di disobbedienti, una nave piena d’olio dio sa di dove, in un porto pugliese. Ai ragazzi dei centri sociali aveva dato, negli ultimi tempi, tutto il suo appoggio, riconosceva in loro la sua stessa rabbia anarchica e totalizzante, l’unica in grado di cambiare qualcosa del mondo. Aveva voluto i Critical Wine con la stessa determinazione con cui, in una Guida del ’91 chiedeva la messa al bando, per legge, dei “vigneti di pianura”. Querelatemi, diceva, io non ho paura.
Anche l’8 marzo di quest’anno, per l’inaugurazione della nuova avventura di “Terre del Principe”, è venuto da noi: ho voluto per scaramanzia la stessa data. Non è servita ad allontanare dal mio maestro la morte. A lui la terra davvero sarà lieve.
Ciao Gino, ti voglio bene.

Manuela Piancastelli

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Mi fu maestro acerbo e di carattere, soprattutto nell’assaggio, verso la metà degli anni ottanta. Nel 1991 abbiamo passato un giorno insieme sui Colli Piacentini, la mia terra natia e di elezione – come direbbe per indicare la mia origine o sorgente professionale -, mi istruì, mi spiegò, mi affascinò, mi rabbuiò e bevemmo insieme un Gutturnio nella antica omonima brocca d’argento romana che nella stessa mattinata gli fu dedicata dai produttori del Consorzio di tutela, riconoscimento alla Sua dedizione al vino. Un premio all’uomo giusto, senza orpelli e senza barriere, anarchico nella più filosofica definizione, anche quando nel 2001 mi tirò pubblicamente sul Corriere della Sera le orecchie perché istruii i pranzi e le cene ufficiali del G8 di Genova puntando tutto su un grande Spumante italiano metodo classico, per ogni abbinamento senza badare molto al piatto, un gioiello delle capacità enologica italiana, da far invidia ai cugini e apprezzato con sincerità sommessa anche dal Presidente Chirac. vrei voluto bere ancora un calice a breve con te, caro Gino, ma non ci è stato concesso. Così è la vita. Spero di diventare degno di camminare appresso al tuo solco, con profonda memoria, tuo Giampietro.

Giampietro Comolli

Ringrazio chi ha voluto sinora testimoniare con un proprio scritto su Gino VERONELLI.

Grazie, Rocco Lettieri