69° Congresso Nazionale Assoenologi a San Patrignano

San Patrignano ospita il 69° congresso nazionale di Assoenologi

 

La più grande realtà di recupero antidroga, dove il vino è strumento di riscatto e formazione lavorativa, ospita uno dei più importanti appuntamenti enologici del panorama nazionale

 

Il sapere e la cultura del vino protagonisti per tre giorni a San Patrignano. La comunità, infatti, da domenica a martedì ospiterà il 69° congresso nazionale di Assoenologi, in programma in comunità dal primo al 4 giugno. L’importante kermesse dei produttori di vino torna in Romagna dopo diversi anni di assenza e per l’occasione ha scelto la comunità, dove l’attività vinicola è uno degli strumenti per il recupero, la crescita e la formazione professionale dei ragazzi.

L’attività vinicola ha caratterizzato San Patrignano sin dal 1978. Di anno in anno la produzione è cresciuta e da un uso soltanto interno, dal ‘97 la comunità ha scelto di commercializzare i suoi vini, a favore dell’autosostentamento della comunità, attività fra le tante che permette alla realtà riminese di continuare ad essere completamente gratuita per i suoi ospiti. La fortuna fu di trovare nell’enologo Riccardo Cotarella un incredibile compagno di avventura. «Avevo accolto l’invito a visitare la comunità più per cortesia che non perché credessi che su queste colline argillose potesse nascere un buon vino – ricorda Riccardo – Invece non appena conobbi i ragazzi della cantina accettai la sfida. Con loro ci capiamo anche senza guardarci: potrebbero fare il vino meglio di tanti enologi affermati e io potrei aiutarli per telefono, talmente siamo in sintonia».

I vigneti si estendono sulle colline di Coriano e si affacciano sul litorale riminese, che dista cinque chilometri in linea d’aria, oltre ad altri 5 ettari di vigna nella zona di Cecina in Toscana su un terreno frutto di un lascito. Nell’arco dell’anno, sono i ragazzi del settore “cantina” ad occuparsi della loro cura, dalla coltivazione, alle lavorazioni meccaniche e a quelle vinicole, come la trasformazione dell’uva, l’affinamento in legno, l’imbottigliamento e le operazioni di magazzino. Un impegno che arriva a coinvolgere l’intera comunità nel mese della vendemmia, quando tutti i ragazzi aiutano nella raccolta dei grappoli.

E’ così che il vino in comunità si è trasformato in un importante strumento di riscatto. «Se prima per molti nostri ragazzi era solo un mezzo per sballarsi, oggi per loro è cultura – spiega Piero Prenna, responsabile commerciale della cantina – Hanno la possibilità di pasteggiare con un bicchiere, un modo per educarli al piacere della tavola, così come fondamentali sono i corsi da sommelier che molti di loro frequentano durante l’anno, organizzati dall’Ais di Roma. Inoltre la cantina per loro è sinonimo di formazione professionale dato che qui possono imparare un lavoro che potrà tornargli utile quando si reinseriranno nella società. Per di più per loro è grande la soddisfazione nel vedere che i frutti del loro impegno sono molto apprezzati».

Le 11 etichette di San Patrignano – Aulente Bianco e Rosso, Vie, Noi, Montepirolo, Avi, Ora, Start e Avenir, ‘Ino e Paratino – infatti hanno ricevuto davvero tanti riconoscimenti, da quelli di The Wine Advocate, al Gambero Rosso, Duemilavini, Guida Veronelli e Oscar del vino.

In una comunità in cui la produzione vinicola è uno strumento fondamentale per i ragazzi in percorso, si inserisce perfettamente il congresso nazionale di Assoenologi. «E’ per noi motivo di grande orgoglio ospitare un evento tanto prestigioso – continua Piero Prenna – Per i nostri ragazzi sarà davvero interessante assistere a confronti che saranno per loro occasione di crescita culturale e professionale».

 

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IN TELECONFERENZA IL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE MAURIZIO MARTINA E IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE AGRICOLTURA DEL PARLAMENTO EUROPEO PAOLO DE CASTRO APRIRANNO IL 1° GIUGNO IL 69° CONGRESSO

NAZIONALE DI ASSOENOLOGI IN ROMAGNA

A SAN PATRIGNANO

 

L’evento che riunirà in Romagna, dall’1 al 4 giugno, il mondo del vino sarà aperto con una cerimonia ufficiale domenica 1 giugno alle ore 18,30 nell’Auditorium di San Patrignano, sede dei lavori del 2 e del 3 giugno

Dal dopoguerra a oggi, anno dopo anno, il Congresso nazionale di Assoenologi costituisce il più importante appuntamento della categoria dei tecnici del settore vitivinicolo. Anche quest’anno esso sarà aperto dall'Inno di Mameli e dalla lettura del telegramma di augurio e di saluto che il Capo dello Stato da oltre vent’anni invia all'assise.

Il 1 giugno, in Romagna, nell’imponente auditorium di San Patrignano, sede dei lavori congressuali, gli interventi saranno aperti in teleconferenza dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina e dal presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro.

Le aziende vitivinicole produttrici saranno rappresentate dal coordinatore di Agrinsieme (la struttura costituita con Cia e Alleanza delle cooperative agroalimentari), nonché presidente di Confagricoltura Mario Guidi.

La Regione Emilia Romagna sarà rappresentata dal suo presidente Vasco Errani, che al congresso esporrà le linee guida della sua amministrazione per il settore vitivinicolo.

Interverrà quindi il presidente della Commissione Agricoltura della Camera, Luca Sani, che ha avuto mandato di stilare la proposta di legge sulla sburocratizzazione del settore vitivinicolo, un argomento per il quale Assoenologi da anni sui batte.

La cerimonia inaugurale del 69° Congresso nazionale di Assoenologi si chiuderà con la consegna del “Grappolo d'Oro”, un riconoscimento che Assoenologi dal 1960 assegna a personalità che si sono, in modo singolare, particolarmente distinte nel settore vitivinicolo. Il Grappolo d’Oro 2014 Assoenologi lo ha assegnato a Giancarlo Prevarin, suo past president.

 

IL 69° CONGRESSO NAZIONALE ASSOENOLOGI CELEBRA IN ROMAGNA A SAN PATRIGNANO DALL’ 1 AL 4 GIUGNO GLI EXPLOIT DELL’EXPORT ENOLOGICO E PUNTA A UNA STRATEGIA PER CONTINUARE A VINCERE LE SFIDE DI DOMANI

 

In un contesto dall’alto valore umano e professionale, tre giornate di confronto aperto tra personalità di spicco della filiera vitivinicola. Per mostrare che il vino italiano, per essere business, non deve trascurare l’impegno, il know- how, la  fantasia, la cultura…

Nell’anno del record dell’export vitivinicolo (oltre 5 miliardi di euro a fine 2013), Assoenologi dà appuntamento in Romagna, uno dei territori chiave per la produzione italiana. Il 69° Congresso nazionale dell’Associazione enologi enotecnici italiani (Assoenologi) – l’organizzazione nazionale di categoria che rappresenta i tecnici del settore vitivinicolo guidata dal presidente Riccardo Cotarella e dal direttore Generale Giuseppe Martelli – si svolge infatti dal 1 al 4 giugno a San Patrignano, in provincia di Rimini. Un appuntamento caratterizzato da una nuova formula, ma dallo stesso impegno nel fornire contenuti di spessore. Quest’anno il tema guida è infatti quanto mai aperto: “Raccontare il vino: storia, territori e cultura” e viene affrontato tramite due animati talk show moderati dal giornalista Bruno Vespa, ma anche attraverso il confronto tra il nostro Paese e realtà di riferimento come la Francia, la Spagna e la Germania.

Nell’apertura ufficiale del giorno 1 giugno è previsto l’intervento video di Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali e di Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura dell’Unione Europea. Il clou è però nella mattinata del 2 giugno con due sessioni di lavori dedicate ai temi:

       “Il vino nei numeri tra produzione e consumo” (con i contributi di Carlo Dalmonte, presidente Caviro, Ruenza Santandrea, presidente Cevico, Giovanni Mantovani, direttore generale VeronaFiere, Serge Dubois, presidente Union internationale des œnologues, Giuseppe Martelli, diretore generale Assoenologi, Lamberto Vallarino Gancia, presidente Federvini, Domenico Zonin, presidente Unione italiana vini);

       “Una strategia per vincere le sfide di domani” (con personaggi come Marilisa Allegrini, alla guida dell’omonima griffe dell’Amarone, Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Santa Margherita, Letizia Moratti, produttrice, con Gianmarco Moratti, del Castello di Cigognola, Lucio Tasca d’Almerita, alla guida dell’omonima cantina siciliana, Mario Moletti Polegato, presidente Geox e produttore con la cantina di famiglia Villa Sandi, ma anche Massimo D’Alema, produttore in terra d’Umbria con La Madeleine, e Oscar Farinetti, patron di Eataly e “vigneron” con Fontanafredda”).

La scelta delle discussioni aperte, invece delle relazioni preconfezionate, punta a trovare una soluzione per il dissonante dualismo tra un mercato interno stagnante e un contesto internazionale scoppiettante e magari proporre una strategia di crescita che vada al di là della consueta anarchia italiana. Perché anche nell’anno del boom dell’export il vino italiano ha comunque registrato alcuni segnali di debolezza: Può bastare infatti una decisione un po’ affrettata e non condivisa da parte della Commissione Ue come quella di mettere in discussione il regime dei diritti d’impianto a mettere in crisi la filiera.

Spazio quindi a un serrato confronto che trova un forte stimolo nello stesso scenario scelto dal presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella: la Comunità di San Patrignano, un ambiente che coniuga una forte carica morale e umana, ma anche la capacità di sapersi imporre sul piano operativo e professionale, nel settore enologico e in altri comparti produttivi.

L’occasione per mettere in luce l’evoluzione qualitativa dell’enologia romagnola viene nel pomeriggio del 2 giugno con la degustazione guidata dal presidente nazionale Riccardo Cotarella e dal presidente della sezione Romagna di Assoenologi Pierluigi Zama, dedicata sia ai vini tradizionali che a quelli innovativi.

La forte impronta internazionale dell’evento viene confermata anche que-st’anno con gli interventi di Martin Santiago Jordi, presidente della Federación Española de Asociaciones de Enólogos parlerà anche della situazione vitivinicola in Spagna e di Edmund Diesler, presidente della Bund Deutscher Önologen. Ma soprattutto con la Francia al centro della terza sessione dei lavori nella mattinata di martedì 3 giugno, dedicata alla capacità di “fare sistema” dei nostri cugini transalpini. Una capacità messa in evidenza attraverso le esperienze di Thierry Gasco, direttore Pommery (Champagne) di Nadine Gublin, consulente di grandi marchi ( Borgogna) e di  Olivier Berrouet, direttore Château Pétrus  (Bordeaux) e le parole d  Cyril Payon, Presidente Union des Œnologues de France.

 

I lavori saranno trasmessi anche in diretta radio su “Decanter”, la trasmissione firmata da Fede & Tinto su “Radio 2”.

 

LA COMPETITIVITÀ DEL SETTORE VITIVINICOLO ITALIANO AL CENTRO DEI TALK SHOW DEL 69° CONGRESSO NAZIONALE DEL-L’ASSOCIAZIONE ENOLOGI ENOTECNICI ITALIANI

(ASSOENOLOGI)

 

La sfida di coniugare tradizione e innovazione. E soprattutto di sapersi velocemente adattare a mutevoli scenari di mercato. Come la vedono i protagonisti della filiera vino

Opinioni mai disgiunte dai fatti e parole sempre supportate dai numeri. I due talk show che caratterizzano la giornata di lunedì 2 giugno puntano a colpire nel segno, grazie alla capacità del moderatore Bruno Vespa di mettere in evidenza, non concedendo né un minuto di più né uno di meno, gli elementi caratteristici di ogni opinione. Un confronto serrato che consente di mettere in evidenza gli sforzi di valorizzazione compiuti fin qui dalla filiera (spesso senza supporto) e la necessità di mettere “a sistema” le opportunità commerciali, ma anche tecniche e culturali che si affacciano all’orizzonte. Per questo il leit motiv che caratterizza la giornata di confronto e discussione è rappresentato dallo slogan “Impegno, know-how, fantasia, cultura. Il vino di qualità guida il successo del made in Italy”. Con un primo talk show dedicato a “Il vino nei numeri tra produzione e consumo”.

 

Estero, strada obbligata. Perché, come mette in evidenza Carlo Dalmonte, presidente di Caviro, una delle più importanti realtà cooperative italiane, “Crescere nell’export appare una via obbligata”. Dalmonte rileva infatti come i consumi domestici siano in costante diminuzione, con dati di tendenza inequivocabili e la copertura di Caviro del mercato italiano è completa, difficile pensare di crescere ancora. “La nostra missione di cooperativa è però proprio quella di valorizzare i grandi volumi di prodotto dei nostri soci, per questo puntiamo all’estero, come praticamente tutti. ma andare all’estero in forma stabile nei nuovi mercati richiede una adeguata organizzazione  una adeguata dotazione finanziaria , non si può improvvisare”.

 

La grande opportunità dell’Expò. “Dopo la straordinaria crescita degli ultimi 10-15 anni -conferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere-, l'Italia del vino deve rideterminare i suoi obiettivi alla luce dei cambiamenti in atto sui mercati internazionali e sul mercato interno. I primi crescono, il secondo sta declinando. Capire come cogliere le opportunità strategiche che questo momento offre, per fare un nuovo salto di qualità e uscire vincenti è una sfida che va affrontata tutti insieme come Sistema Paese”. La prima e più grande opportunità messa in luce da mantovani è l’Expo 2015. Vinitaly è in prima linea per l’Expo e ormai da quasi mezzo secolo per portare le imprese italiane all’estero. Con la nuova iniziativa wine2wine in programma a dicembre è pronta anche a dare le informazioni e fare quella formazione necessarie a sviluppare competenze nuove per le nuove esigenze.


Consolidare “potando”. “Tutti affermano che la crescita dei consumi in Italia -è la riflessione di Giuseppe Martelli – direttore generale Assoenologi-, per diversi motivi, è, nel medio periodo, un’utopia. L’export rimane l’unica valvola di sfogo per le nostre vendite. Grazie all’impegno di imprenditori ed enologi il vino italiano piace ed è il più richiesto, nei diversi livelli, nel mondo”. Una performance che secondo il direttore può essere consolidata e soprattutto accresciuta solo facendo squadra, ossia eliminando personalismi e corporativismi, nella consapevolezza che “uniti si vince”. “Secondo il mio pensiero –continua- questo risultato può essere ottenuto potando oltre la vite anche i campanili, sia a livello locale che nazionale”.

 

Verso una stabilità dei prezzi. Le cifre, secondo Serge Dubois, presidente dell’Union Internationale des Œnologues, sono però tutt’altro che negative. Per le statistiche ufficiali dell’Oiv la superficie vitata in Europa ha smesso infatti di diminuire e si mantiene stabile. Si registra invece una forte progressione delle superfici messe in coltivazione in Cina (+ 20.000 ettari) ed in America latina (+ 5.000 ettari). Nel 2013, la produzione mondiale di vino, con 276.6 milioni di ettolitri, è cresciuta del 7.88% in un anno (da notare comunque che, l’annata 2012, è stata penalizzata da una raccolta decisamente minore rispetto alla norma). “Secondo il mio punto di vista -commenta Dubois- la tendenza mondiale, intesa come rapporto produzione/consumo, sembra essersi equilibrata. Questa situazione, dovrebbe riuscire a determinare una relativa stabilità dei prezzi ed evitare speculazioni (oscillazioni di mercato con aumenti o cali eccessivi a seconda delle annate), permettendo ai produttori di avere una visione più chiara del mercato, quindi una gestione degli stock e dei prezzi più intelligente e chiara”.

 

La leadership non è in discussione. “Spesso -obietta Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini– i dati relativi alla produzione di vino vengono considerati come dei punti di una classifica e Paesi come Francia, Spagna e Italia vivono in costante competizione tra loro”.

Secondo Gancia occorre abbandonare questi meccanismi e guardare soprattutto la realtà. “I dati dicono chiaramente che, al di là delle fluttuazioni legate alla meteorologia, in Italia produciamo mediamente oltre 40 milioni di hl di vino all’anno, dato che conferma indubbiamente la nostra leadership nel settore. Abbiamo assistito negli anni ad un miglioramento progressivo della qualità delle uve ed una sensibile estensione della percentuale di quelle destinate alla produzione di Dop/Igp anche grazie ad importanti rinnovamenti all’interno dei vigneti e miglioramento dei processi produttivi in cantina”. Sul fronte dei consumi interni anche Vallarino Gancia conferma il calo costante a fronte di una scelta di vini di qualità superiore che non serve più a compensare, mentre sul fronte dell’export aumenta il valore del vino, ma le quantità iniziano a segnare dei rallentamenti.


Occhio alla perdita di potenziale viticolo. Più cauto Domenico Zonin, Presidente Unione Italiana Vini, che rileva come il ruolo globale della vitivinicoltura italiana sia oggi stretto tra una progressiva perdita di potenziale viticolo (“contro la quale sono insufficienti le nuove misure della Ue”)  e lo sviluppo delle viticolture in nuovi Paesi, accompagnato dal continuo emergere di protezionismo mascherati con barriere doganali ”tariffarie e non”. “I successi dell’export, che devono essere presi ad esempio anche per lo sviluppo del mercato interno, vanno, quindi, sostenuti con efficaci politiche a favore del libero scambio, proseguendo il supporto finanziario alla promozione e finalizzando bene l’Expo 2015”.

 

Il ruolo delle realtà cooperative. “Nel variegato mondo del vino italiano -mette in evidenza con orgoglio Ruenza Santandrea – presidente di Cevico– le cooperative generano oltre il 50% del fatturato del settore e tra le più grandi aziende italiane ci sono sei cooperative”. Una constatazione che vale soprattutto per l’Emilia Romagna, regione che ospita il Congresso di Assoenologi, dove le cooperative detengono fino al 70% della produzione di vino. “Poiché la forza enologica -testimonia Santandrea- dei nostri territori è il frutto di una pluralità di aziende, culture, vitigni, profumi e gusti, la precisa responsabilità delle cooperative, grazie anche alla loro dimensione, è di contribuire alla crescita di una viticoltura diffusa e remunerativa per il produttore, sostenibile e attenta alla salvaguardia dei vitigni autoctoni, impegnata nello sviluppo della ricerca ed al consolidamento del “Made in Italy” nei mercati internazionali, dove la dimensione delle imprese è fondamentale.

 

LE ESPERIENZE DEI PRODUTTORI E LA SFIDA DI CRESCERE

ANCORA DEL 50%

 

La voce dei protagonisti dell’affermazione del made in Italy nel mondo nel secondo focus del 69° Congresso nazionale dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani (Assoenologi) dedicato alla ricerca di “Una strategia per vincere le sfide di domani”

“Una strategia per vincere le sfide di domani”: è l’auspicio del talk show che caratterizza la seconda parte della mattinata del 2 giugno, dove Bruno Vespa coinvolgerà noti protagonisti, a diverso titolo, dell’affermazione del made in Italy nel mondo, nonché illustri produttori di importanti aziende vitivinicole e non. Chiamati in questo giorno a tentare di “coprire” l’azzardato rilancio piazzato dal Governo Renzi nel corso dell’ultima edizione del Vinitaly di Verona: spingere l’export vitivinicolo ad un’ulteriore crescita del 50% nel 2020, proprio nell’anno boom dell’export.

Un rilancio impegnativo. “Al vino -conferma Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Santa Margherita– è stata affidata in queste ultime settimane una missione davvero impegnativa: crescere del 50% il valore delle nostre esportazioni, da 5 a 7,5 miliardi di euro. Ovvero chiudere il gap con la Francia nel volgere di pochi anni”. Vogliamo indicare una possibile strategia? Tocca infatti agli imprenditori il compito di “percorrere” le migliori strade del passato recente (l’innovazione di prodotto, la valorizzazione di alcuni vitigni, la consapevolezza del territorio), “ma soprattutto – stigmatizza Nicoletto- debbono saper cogliere i mutamenti: la concreta scelta della piena sostenibilità, l’individuazione di altri vitigni autoctoni, testimoni di una sapienza antica, ma potenzialmente grandi interpreti commerciali, la perfetta conoscenza dei mercati e del cambiamento generazionale dei consumatori”.

I Plus dell’ingegno e dell’innovazione. “Sono fortemente convinto -riflette Mario Moretti Polegato, presidente Geox ma anche enologo e produttore vitivinicolo con la cantina di famiglia Villa Sandi- che l’unico strumento per vincere le sfide del mercato sia l’innovazione anche per un settore tradizionale come il vino”. Polegato è cresciuto in una famiglia di viticoltori, egli stesso è enologo e per molti anni ha portato avanti il business di famiglia insieme a mio fratello Giancarlo. “Poi circa vent’anni fa ho inventato la “scarpa che respira” rivoluzionando un settore maturo come quello della calzatura. Ho fatto quello che si pensava non si potesse fare.  Il vino è senza dubbio un settore in forte espansione e questo dovrebbe essere un ulteriore leva affinché l’ingegno e il saper fare italiano, possano contribuire a rendere un prodotto così tradizionale, unico e riconoscibile al mondo”.

Territori, uomini e donne. “Il vino è la poesia della terra”. Una bellissima frase di Mario Soldati ripresa da Marilisa Allegrini, titolare dell’omonima cantina produttrice di Amarone. “Mi viene sempre in mente –dice- quando giro il mondo per narrare il vino italiano. In realtà le strategie, tese a vincere le antiche e nuove sfide, si disegnano a colpi di piani marketing, innovazione, conoscenza dei mercati emergenti e via via discorrendo. Ma quando il mio, il nostro pubblico di diversa cultura, latitudine e maturità enologica, è stanco di cifre e dati analitici, parlo dei territori, della storia degli uomini e delle donne del vino, di alta collina, di differenze, di non omologazione. Ecco una strategia da non scordare mai”.

La valorizzazione è uno sport di squadra. “Il settore vitivinicolo è un comparto strategico per l’immagine della produzione italiana di qualità a cui dovremo dedicare la massima attenzione”. È una riflessione che ha un doppio valore, perché ad esprimerla è Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio e oggi convinto produttore vitivinicolo nell’azienda La Madeleine in Umbria-. “Mi auguro -prosegue- che il mondo della produzione e della commercializzazione sappiano interpretare questi concetti al fine di esaltare e non di sminuire in un’arida partita a ruba mazzetto le potenzialità che il settore vitivinicolo ha, a vessillo della nostra cultura, tradizione e innovazione”.

La vite è riscatto sociale. “Il vino è cultura e comunica nel mondo l’eccellenza della produzione nel nostro Paese, valorizzando territori e specificità tutte italiane”. Letizia Moratti è a San Patrignano la padrona di casa. È lei che sostiene e amministra da anni assieme a Gianmarco Moratti la comunità fondata da Vincenzo Muccioli. E il suo legame con il vino è radicato anche grazie all’azienda di Castello di Cigognola, nell’Oltrepo Pavese. “La vite è maestra perché insegna il rispetto per la terra ed i suoi tempi, attraverso la richiesta di una cura attenta e costante. In questo senso, la vite può anche rappresentare un’occasione di riscatto sociale, come dimostra la Comunità di San Patrignano dove la viticoltura aiuta molti ragazzi durante il percorso di recupero, attraverso un positivo rapporto con la natura”.

Denominazioni vaste e ricche come continenti. Il vino è incontro di culture e di territori, soprattutto in Italia. Con denominazioni che per tradizione – e oggi anche estensione – hanno raggiunto dimensioni decisamente “macro”. “La Sicilia -testimonia Lucio Tasca D’Almerita, storico produttore di grandi vini– è un continente viticolo che va dal mare ai 1.200 m. slm. La giacitura dei suoli è la più variegata che si possa immaginare. La vendemmia inizia a fine luglio e termina a fine ottobre. L’Irvp (istituto regionale vino e olio )ha selezionato 400 cultivar di vitigni autoctoni. Con queste premesse il futuro dei vini siciliani è più che roseo. Ma l’obiettivo della vitivinicoltura italiana deve essere la permanente ricerca del miglioramento della qualità, longevità e naturalezza.”

IL valore deve ripagare il lavoro. “Nel settore vitivinicolo, secondo il mio parere, “il più rimane da fare” se si vuole concretizzare un futuro meraviglioso a cui il mondo del vino può ambire”. La sfida dei prossimi cinque anni tracciata da Oscar Farinetti, il fervido inventore di Eataly e timoniere di Fontanafredda, la più grande azienda delle Langhe è quella di raddoppiare il prezzo medio, con particolare riguardo alle esportazioni. “Solo in questo modo potrà essere meglio pagato il lavoro costante e appassionato di tutti gli attori di questo importante comparto, tra cui, in primis, quello dei viticoltori. Ritengo che ci giocheremo tutto sulla capacità di raccontare al mondo la nostra biodiversità con un focus particolare sulla sostenibilità”.

 

L’ASSOENOLOGI CONFERISCE IL PREMIO “GRAPPOLO D’ORO” AL SUO PAST PRESIDENT GIANCARLO PREVARIN

 

La consegna dell’importante riconoscimento avverrà a San Patrignano in occasione della cerimonia di apertura del 69° Congresso nazionale di Assoenologi, domenica 1 giugno

L’Associazione Enologi Enotecnici Italiani ha conferito il “Grappolo d’Oro” della categoria, ovvero il massimo riconoscimento all’attività professionale, all’enologo Giancarlo Prevarin, che nell’aprile dello scorso anno, dopo ventinove anni di permanenza nel Consiglio nazionale di Assoenologi, di cui di cui dodici da vicepresidente e sei da presidente, ha passato il testimone all’attuale presidente Riccardo Cotarella. L’ambito riconoscimento gli è stato attribuito con la seguente motivazione: “All’uomo, al manager, al tecnico che, con grande professionalità, ha diretto per quasi cinquant’anni una delle più importanti cooperative vitivinicole italiane e per sei anni ha presieduto l’Assoenologi accrescendone l’immagine e l’impostazione”.

Il “Grappolo d’Oro” gli verrà consegnato il 1° giugno a San Patrignano, nell’ambito della cerimonia inaugurale del 69° Congresso nazionale della categoria.

Giancarlo Prevarin, appena appresa la notizia dell’assegnazione del riconoscimento ha così dichiarato: “Ne sono emozionato ed onorato: ora posso dire che il mio nome sarà accanto a quello di illustri colleghi che mi hanno preceduto: Ezio Rivella, Pietro Pittaro, Mario Consorte e che ahnno contribuito a far crescere e rendere importante questa nostra associazione. Colleghi che per me sono sempre stati esempi da seguire per la loro alta professionalità e modelli da imitare per l’intensa attività e dedizione a favore di Assoenologi”. “Sono contento -ha aggiunto Prevarin- di aver passato il testimone a Riccardo Cotarella che, sono certo, saprà interpretare le necessità e le esigenze, sia in termini associativi che operativi e istituzionali”.

Enologo, formato presso l’Istituto di viticoltura e di enologia di Conegliano, nel 1967 viene assunto dalle Cantine dei Colli Berici di Lonigo (Vicenza) come tecnico di produzione. Nel 1985 ne diventa Direttore e nel 1989 Direttore Generale fino a dicembre 2010. Durante la sua direzione le cantine dei Colli Berici acquisiscono per incorporazione la Cantina di Barbarano (Vicenza) e quella di S. Bonifacio (Verona). Nel 1999 le Cantine dei Colli Berici acquistano il pacchetto di maggioranza della Cielo & Terra Spa di Montorso (Vicenza) di cui diventa l'amministratore delegato fino a maggio 2012. Nel 2006 il gruppo si espande ulteriormente acquisendo, con la cantina di Colognola ai Colli, l’azienda Riondo Spa di Monteforte d'Alpone (Verona) e anche in questo caso Prevarin diventa amministratore delegato.

A seguito di queste operazioni, nel 2008 nasce Collis Veneto Wine Group che riunisce le “Cantine dei Colli Berici “, quella di “Colognola ai Colli “, la ” Cielo & Terra, la Sartori e la Riondo Spa, con la partecipazione della Cevico di Lugo di Romagna e del Banco popolare di Verona. Di questo Gruppo viene nominato Amministratore Delegato fino al 2010. Nel 1996 viene eletto vicepresidente nazionale dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani e dal 2006 Presidente della stessa, carica che ho ricoperto fino ad aprile 2013. Attualmente gestisce l'azienda viticola di famiglia.

 

ROMAGNA. TERRA DI GRANDI ROSSI E PRESTO ANCHE

DI BOLLICINE BIANCHE

Da sempre terra di grandi rese, vive gli effetti di un forte miglioramento qualitativo che ha spinto l’export a crescere del 60% in valore in sei anni. E dopo la recente rivisitazione del disciplinare del Sangiovese di Romagna Doc il 69° Congresso nazionale di Assoenologi coincide con un’ulteriore corposa novità l’allargamento dell’areale del Pignoletto Doc che arriva a lambire Faenza.

Record produttivi, ma anche forte crescita qualitativa. L’Emilia-Romagna si è confermata, anche nel 2013, la terza regione italiana – dopo la Puglia ed il Veneto – per produzione di vino, con un aumento dei volumi di oltre il 15% sull’anno precedente. Le maggiori soddisfazioni arrivano però dal crescente apprezzamento che riscuotono i vini di questa regione sui mercati interni ed internazionali, nella Gdo, nei canali tradizionali, nelle enoteche ed Horeca, nonché gli importanti riconoscimenti dalla critica enologica. Il pomeriggio del 2 giugno il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella e il presidente della sezione Romagna di Assoenologi Pierluigi Zama coordineranno insieme una degustazione guidata di alcune delle eccellenze di questa zona viticola.

L’export nel 2013 è cresciuto, in valore, di un ulteriore 10% rispetto al 2012 – anno che aveva messo a segno un +15% sul 2011 – facendo registrare, negli ultimi sei anni, un incremento che sfiora il 60%. Le vendite oltre confine, che per l’Italia hanno superato i 5 miliardi di euro, a livello regionale hanno quasi raggiunto quota 400 milioni. Risultati ottenuti grazie al coraggio di  scelte innovative, ad una tradizionale capacità di aggregazione (l’associazionismo riguarda in Romagna il 65% della produzione e il 70% dei produttori) e a un nuovo dinamismo imprenditoriale, sia nei territori del Sangiovese che in quelli del Lambrusco.

Romagna ed Emilia costituiscono due sezioni locali separate per Assoenologi. Il Congresso di San Patrignano è stato organizzato dalla sezione romagnola, presieduta da Pieluigi Zama enologo di Cevico, succeduto l’anno scorso a Giordano Zinzani di Caviro, oggi presidente del Consorzio vini di Romagna.

Con i suoi 28.000 ettari di superficie a vigneto, la Romagna rappresenta il 60% della produzione regionale ed il 7 % di quella nazionale. L’asse della via Emilia rappresenta il confine tra due zone viticole ben caratterizzate: Da una parte la pianura con suoli argillosi-limosi, nella quale affondano le radici vitigni come il Trebbiano, l’uva Longanesi ed il Merlot. Sulla collina romagnola i terreni marnosi-arenacei sono invece adatti a vitigni che producono uve di qualità come l’Albana (prima Docg bianca d’Italia), il Sangiovese e il tipico Pagadebit.


Il Sangiovese è il vitigno simbolo: il ritrovamento su un rogito notarile del 1672 della prima citazione dell’attuale nome di questa varietà spinge a considerare l’ipotesi che il più importante rosso italiano sia nato nei monasteri vallombrosani dell’appennino romagnolo.

Sangiovese di Romagna che sta vivendo una nuova fase di rilancio dopo gli effetti della crisi dei rossi degli scorsi anni. Al vertice del Consorzio del Sangiovese Doc è stato recentemente confermato proprio Giordano Zinzani. L’opera di qualificazione intrapresa ha spinto ad aggiornare nel 2011il disciplinare di produzione, sempre nell’ottica di una valorizzazione della differente impronta pedoclimatica, con il riconoscimento di 12 diverse sottozone (Bertinoro, Brisighella, Castrocaro – Terra del Sole, Cesena, Longiano, Meldola, Modigliana, Marzeno, Oriolo,  Predappio, San Vicinio, Serra – Castelbolognese).

 

E la novità più recente per la Romagna vitivinicola è l’allargamento dell’areale del Pignoletto, che passa da vitigno a menzione territoriale, assicurando una migliore protezione commerciale. Questa Doc ora arriva a lambire la zona di Faenza, spezzando la tradizionale antinomia tra fermi romagnoli e frizzanti emiliani: ora anche la Romagna può ambire alle sue bollicine bianche. È il risultato delle modifiche della Doc Pignoletto e dalla Docg Colli Bolognesi Pignoletto, approvate in Comitato Nazionale Vini ed in corso di presentazione alla Ue, valide dalla prossima vendemmia.

 

IN SINTESI I FORTI CONTENUTI CHE HANNO CONTRADDISTINTO I PIU’ RECENTI CONGRESSI NAZIONALI DI ASSOENOLOGI. POLITICA VITIVINICOLA, TECNOLOGIA, LEGISLAZIONE

E MERCATI I TEMI MAGGIORMENTE TRATTATI

 

I contenuti dei Congressi nazionali di Assoenologi hanno sempre lasciato il segno. Leggendo le risoluzioni e le prese di posizione dei diversi eventi che, dal dopoguerra a oggi, anno dopo anno, ininterrottamente si sono alternati, si ha l’idea di ripercorrere le tappe che hanno scandito i momenti importanti dell'enologia italiana. Di seguito sintetizziamo quelle degli ultimi dieci anni.

 

Nel 2004 a Reggio Calabria l’Assoenologi aprì con le categorie un costruttivo confronto sulla riforma della legge 164/92 avanzando concrete proposte. L’allora Sottosegretario di Stato con delega alla vitienologia presentò al Congresso la stesura definitiva della proposta di modifica della legge.

Nel 2005 a Taormina i tecnici del vino iniziarono a parlare di “cambiamenti”, mettendo a fuoco “il futuro”, partendo dalla mec-canizzazione del vigneto per arrivare alla genomica e alla proteomica.

Nel 2006 a Ischia il Congresso concentrò la sua attenzione sui mercati potenziali denunciando che esportiamo il 90% dei nostri vini in soli 11 Paesi e che pertanto occorreva conquistare anche gli altri, sparsi per il Mondo.

Nel 2007 a bordo della “Costa Victoria” l'Assoenologi fece il punto sulla riforma dell’Ocm vino, proponendo di procrastinare la sua entrata in vigore dal 1° agosto 2009 al 1° agosto 2010.

Nel 2008 a Venezia spronò il settore ad “uscire dal guscio”, ad “aprirsi al confronto” per essere sempre più competitivo e “continuare a vincere le sfide della concorrenza”.

Nel 2009 ad Ascoli Piceno la categoria, a fronte del costante calo dei consumi interni, dichiarò che l’unica valvola di sfogo è l’export. Oggi quasi il 50% della produzione del vino italiano viene venduta con successo all’estero.

Nel 2010 a Merano l’Assoenologi fece un focus sulla crisi che stava montando e puntò il dito sulle piaghe che affliggono il settore. Presentò il recente Dlgs 61/2010 che aveva raccolto gran parte delle posizioni presentate dalla categoria.

Nel 2011 a Orvieto festeggiammo i 120 di fondazione dell’Assoenologi, non senza tralasciare gli aspetti tecnici sviluppati all’insegna “Il progresso si può rallentare ma non fermare” e allo slogan “produrre per vendere”.

Nel 2012 a bordo della “Costa Atlantica” i tecnici vitivinicoli italiani denunciarono apertamente le problematiche riferite ai cambiamenti climatici, proponendo alcune soluzioni atte a tramutare criticità in opportunità.

Nel 2013 ad Alba Assoenologi aprì un ampio confronto sui modi di intendere il vino, comunicarlo e “fare sistema”, per accrescerne le potenzialità, allargandosi al confronto con i Paesi stranieri.

 

NEL RUOLO DELL’ENOTECNICO E DELL’ENOLOGO LE PRINCIPALI TAPPE CHE HANNO CARATTERIZZATO IL PROGRESSO DEL SETTORE VITIVINICOLO E L’AFFERMAZIONE DEL VINO ITALIANO NEL MONDO

 

Dal flagello della Fillossera ai successi del vino italiano sui mercati internazionali, il fondamentale ruolo svolto dall’enotecnico e dall’enologo per l’evoluzione del comparto in oltre 130 anni di storia. Nel 1876 a Conegliano (Treviso) nasce la prima Scuola di viticoltura e di enologia d'Italia, seguita da Alba (Piemonte). Nel 1991 il Parlamento italiano riconosce il titolo di enologo e ne stabilisce l’ordinamento professionale.

 

Anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità, non sana i bilanci delle aziende e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico alimentare, senza tecnologia solo causalmente può essere di qualità.

E quando si parla di tecnologia si parla di tecnici, nel settore vitivinicolo di enologi e di enotecnici, ossia i professionisti rappresentati nel nostro Paese dall'Associazione enologi enotecnici italiani (Assoenologi).

Per dimostrare il ruolo che l’enotecnico prima e l'enologo poi hanno avuto per il miglioramento e il progresso della vitienologia e che ha nell’attuale gestione del comparto, basta ripercorrere le principali tappe che hanno caratterizzato la trasformazione del settore.

Tra la metà e la fine dell’Ottocento, la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre gravi parassiti: l’oidio, la fillossera e la peronospora. La viticoltura europea uscì da questo trauma profondamente trasformata, certamente turbata, ma consapevole che il suo futuro era legato alla ricerca, alla sperimentazione, ad una tecnologia capace di sopperire ad eventuali nuove calamità.

Il pericolo e le preoccupazioni che i tre parassiti suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali che dal tempo di Columella e Virgilio venivano tramandate da padre in figlio, bensì che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, di biologia, di fisiologia, studiando e ricercando le cause che stanno alla base di ogni fenomeno. Si capì che la tradizione da sola non indirizzava i viticoltori, non combatteva le calamità.

Nel 1876 nasceva così a Conegliano (Treviso) la prima Scuola di enologia d’Italia, con lo scopo di assicurare uomini specializzati, preparati, in grado di seguire e far proseguire, su basi scientifiche, il settore vitivinicolo nazionale. L’enotecnico venne a costituire il fattore determinante su cui si sarebbe basata tutta la vitienologia.

Vini migliori, senza difetti significarono mercati più facili, crescita delle richieste e, per i viticoltori, produzioni più remunerative. Nacquero le prime cantine sociali, dirette da enotecnici, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quegli agricoltori che, per mancanza di attrezzature e di conoscenze, spesso vedevano vanificate intere annate. Si perfezionò la fermentazione in bianco, quella a temperatura controllata, si diede sempre più importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina: la qualità della produzione vinicola italiana aumentò sensibilmente.

Anche il modo di vendere e di acquistare cambiava. Per praticità, igiene e razionalità, alla damigiana andava sempre più sostituendosi la bottiglia anche per i vini comuni, “quelli di tutti i giorni”. In cantina una metamorfosi di questo genere implicò una più rispondente organizzazione, l’adozione di tecnologie più avanzate nella difficile pratica dell’imbottigliamento. Ezio Rivella, per dodici anni presidente dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, mise a punto una tecnologia di imbottigliamento che avrebbe garantito stabilità al vino permettendogli di attraversare l’oceano senza particolari problemi biologici.

Questa profonda metamorfosi, che costituisce poi la storia degli ultimi 130 anni della nostra enologia, ha avuto e ha, a livello tecnico, un protagonista principale: l’enotecnico, oggi enologo.

Non a caso da oltre cent’anni la quasi totalità delle cantine italiane di una certa importanza si affida, direttamente o indirettamente, a questo professionista. Per rendersi conto di ciò, basta andare a vedere chi è il direttore o il responsabile di produzione delle principali entità vitivinicole ed enologiche italiane o sfogliare le oltre 850 pagine che compongono l’Annuario degli enologi enotecnici italiani.

Con l’apertura delle frontiere europee, non solo alle merci ma anche alle attività intellettuali e quindi alle professioni, a fine anni ’80 nacque la necessità di individuare i tecnici vitivinicoli italiani. Questa esigenza coincise anche con la necessità di far riconoscere in Italia il titolo di enologo, visto che era assurdo che uno dei primi Paesi vitivinicoli del mondo non avesse un professionista riconosciuto, ma solo una qualifica professionale, quella di enotecnico, cioè di perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia.

Per risolvere questi problemi l’Assoenologi promosse la promulgazione di una legge atta a riconoscere in Italia il titolo di enologo, fissandone la preparazione a livello universitario, così come sancito dalle direttive comunitarie e stabilendone l’ordinamento professionale.

Essa fu approvata dal Parlamento italiano il 10 aprile 1991 con il n. 129. L’articolo 1 della legge non solo sanciva attraverso quali corsi l’enologo doveva essere formato, ma anche che gli enotecnici con tre anni di attività specifica e continuativa nel settore potevano acquisire, dopo il vaglio di una Commissione interministeriale, il titolo di enologo.

Questa commissione valutò quasi 3.500 pratiche, riconoscendo il titolo di enologo a 2.953 professionisti ovviamente tutti già attivamente impegnati nel settore. I suoi lavori terminarono nel 1994 e, per questa ragione, da quella data il tecnico del vino in Italia è diventato l’enologo.

Nel 1997, con decreto, il Ministero delle politiche agricole demandò all’Associazione Enologi Enotecnici Italiani la gestione del titolo di enologo e la stampa, da parte del Poligrafico dello Stato, del relativo diploma.

Il titolo di enologo altro quindi non è che la logica evoluzione della qualifica di enotecnico, così come la preparazione universitaria la giusta evoluzione della già valida formazione garantita per oltre cento anni dal corso sessennale.

Nel nostro Paese operano circa 4.300 tecnici vitivinicoli di cui il 40% inquadrato con mansioni direttive in cantine private e cooperative, il 10% svolge l'attività di libero professionista, mentre la rimanente percentuale è inserita con mansioni diverse.

 

L’ASSOENOLOGI – FONDATA NEL 1891 – È LA PIÚ ANTICA E

NUMEROSA ORGANIZZAZIONE DI CATEGORIA DEI TECNICI

VITIVINICOLI AL MONDO

 

La storia dell’Associazione Enologi Enotecnica Italiani – Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo – Assoenologi, nasce nel 1891 per conto di 46 colleghi, determinati e provenienti da ogni parte della penisola. Oggi l’Assoenologi raggruppa e rappresenta 4.000 professionisti, ossia il 90% dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati.

La storia dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani – Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo – Assoenologi, ossia della più antica associazione del settore al Mondo, nasce ad Asti, nel 1891 quando Arturo Marescalchi, in occasione del primo “convegno” della categoria, fondò la “Società degli Enotecnici Italiani”, cioè la progenitrice dell’attuale Assoenologi. Vi parteciparono solo 46 persone, provenienti però da ogni parte della penisola e determinate a dare vita a un organismo che “raggruppando le forze disseminate in ogni dove d’Italia, tutelasse i comuni interessi, senza perdere di mira la prosperità dell’industria vitivinicola italiana”. La sede, fissata a Conegliano (Treviso), fu trasferita nel 1916 a Milano dove da 97 anni è ubicata. Con l’avvento del fascismo la “Società degli Enotecnici Italiani” fu sciolta per essere ricostituita nel 1946, sempre in Piemonte, alla Scuola Enologica di Alba per opera di Giuseppe Asnaghi, che la trasformò in “Associazione Enotecnici Italiani”.

Nello stesso anno, a Milano, fu organizzato il primo congresso del dopoguerra, un evento che, ininterrottamente da 68 anni, viene riproposto come il più importante appuntamento della categoria. Il passaggio da “Associazione Enotecnici Italiani” ad “Associazione Enologi Enotecnici Italiani” avvenne in occasione del 46° congresso nazionale celebrato a Trento nel 1991 quando, con i primi 100 anni di attività, si festeggiò l’approvazione della legge 10 aprile 1991 n. 129, voluta con caparbietà dall’Assoenologi per riconoscere ufficialmente il titolo di enologo e stabilirne l’attività di competenza, aprendo così ai tecnici vitivinicoli italiani le porte professionali dell’Unione Europea. Nel 1920 l’associazione contava cento iscritti, nel 1950 seicento, nel 1980 poco più di 1.700. Oggi ne raggruppa e rappresenta quattromila, pari a circa il 90% di tutti i tecnici vitivinicoli attivamente impegnati nel settore. Una storia che gli enologi e gli enotecnici italiani sono chiamati a continuare a vessillo di quegli ideali che, immutati, da 122 anni coinvolgono migliaia di colleghi che hanno voluto far crescere “una categoria importante perché importante è il ruolo dei suoi associati.

A cura di Rocco Lettieri

in collaborazione con l’Ufficio Stampa Assoenologi

www.assoenologi.it