Eccopinò 2019 – il pinot nero del Mugello & C.
Eccopinò 2019
Il Pinot nero dell’Appennino toscano
da follia a storia enologica 2020?
Il Mugello è una vallata posta a nord di Firenze, circondata da alti monti ad occidente e a sud, mentre nella parte settentrionale confina con l’Appennino Tosco-Emiliano. Questa situazione particolare ha di fatto spinto i viticoltori locali a tentare la coltivazione del Pinot Nero, trovandovi varie affinità con la geografia della Borgogna, dove il Pinot Nero riesce a dare il suo frutto migliore. La storia del Pinot Nero del Mugello è piuttosto recente, così come, dopotutto, quella della vitivinicoltura della vallata, per anni sottovalutata proprio a causa di quelle condizioni climatiche che così ben combaciano invece con la coltivazione del Pinot Nero. Questa varietà, il cui grappolo non molto grande e compatto somiglia ad una pigna (da qui il nome “pinot”), come si diceva è molto complicata, a partire dalla scelta del terreno su cui piantare la vite, la sua spiccata sensibilità verso le malattie ed i parassiti, la sua precoce maturazione, la sua suscettibilità nei confronti dell’andamento climatico; tutte queste variabili rendono il Pinot Nero uno dei vitigni più difficili da gestire, tanto in vigna quanto in cantina, motivo per cui si tratta sempre della sfida “maestra” sia per gli agronomi che per gli enologi.
Da: (https://ilnomadedivino.com/pinot-nero-mugello/)
Alla sesta edizione di Eccopinò i vignaioli segnano una nuova tappa del loro giovane cammino
“Lo svantaggio temporale può diventare vantaggio, ma occorre umiltà e calma”,
li ha pungolati Armando Castagno nella densa e vibrante presentazione
che ha preceduto l’assaggio delle ultime annate.
Sono passati 7 anni da quando i vignaioli di Pinot nero dell’Appennino toscano hanno chiamato per la prima volta esperti e appassionati ad assaggiare i vini dell’annata 2009. La seconda giornata fu tenuta a Scarperia ed era il 22 Aprile del 2013. Si degustavano i Pinot Nero dell’annata 2010. Vincenzo Tommasi, allora presidente di Eccopinò, dichiarò: “L’Appennino toscano-Vignaioli di Pinot nero si è costituita nel 2011, dopo due anni di frequentazione e scoperta reciproca. Un’avventura sconvolgente, per ciascuno di noi, scoprire di non essere stati i soli, folli, ad aver piantato un vitigno magico ma difficilissimo in un ambiente montano e inusuale. Quattro i “distretti, quattro conche intermontane, quattro vallate appenniniche, con spiccate individualità, e con nomi geografici propri che le caratterizzano: Lunigiana, Garfagnana, Mugello e Casentino. Ci apprestiamo a presentarvi la vendemmia 2010 che per il clima freddo e piovoso si sta rivelando ideale per il nostro vitigno, ripagando gli sforzi per mantenere sane le uve con un vino fresco e pieno di frutto. Abbiamo ancora molto cammino da fare per trovare ognuno la propria interpretazione e nello stesso tempo un filo conduttore, ma si tratta di un lavoro appassionante: mostrare al mondo che esiste un’altra Toscana, più fresca e nascosta, certo meno famosa ma forse altrettanto interessante”.
Giampaolo Gravina, giornalista nonché autore di una guida sulla Borgogna (quindi di Pinot Nero) affermò: “Sappiamo ancora poco della vocazione vitivinicola dell’Appennino toscano ma siamo colpiti da questo laboratorio che mette al centro la ricerca di diverse espressioni di questo difficile vitigno, ma prima ancora la qualità dei rapporti umani tra i vignaioli e la conoscenza e la tutela dei loro territori. E’ una realtà relativamente recente quella del Pinot Nero nell’Appennino Toscano, riguardando vigneti impiantati all’inizio degli anni 2000, nell’ambito di un ritorno alla viticultura montana da parte di vignaioli eterogenei: da professionisti del settore a giovani agricoltori, fino a neo imprenditori agricoli provenienti da altre attività. Questi Pinot – ha aggiunto Gravina – sono comunque a un livello avanzato di lavori in corso e soprattutto sono immediati e si fanno bere”.
Ebbene, dopo tanto tempo anche quest’anno Eccopinò, ospitato dal comune di Borgo a Mozzano e salutato con entusiasmo dal sindaco Patrizio Andreuccetti, ha visto la partecipazione attenta di oltre 120 appassionati tra ristoratori, sommelier e giornalisti, in un’atmosfera conviviale e a tratti festosa. Allora qualcuno li definì scherzosamente “angeli matti” di Veronelliana memoria, perché, quando si parla di Pinot nero, il riferimento alla Borgogna e ad altri areali storici è irresistibile e l’impresa viene spesso misurata col metro degli strepitosi risultati delle bottiglie più note e prestigiose.
Oggi la riflessione si arricchisce, anche grazie ai numerosi spunti offerti da Armando Castagno, fine degustatore, uno dei massimi esperti di Borgogna e di Pinot nero a livello nazionale.
“Il vino si configura come il racconto liquido di un paesaggio – esordisce Castagno – ma sta poi all’uomo, al vignaiolo, far sì che vi sia una attendibilità del racconto. E ciò dipende sostanzialmente dal grado di immersione di chi lo produce. Lungo le valli dell’Appennino abbiamo otto esempi di vino nati in contesto schiettamente rurale con l’obiettivo di muoversi dentro un paesaggio, in un percorso di avvicinamento e racconto del terroir. I risultati sono interessanti, e onesti”. “Il vino contemporaneo – ha puntualizzato ancora il relatore – è afflitto dall’ossessione di distinguersi, cosa che spesso lo rende avulso dalla memoria e dal sapere collettivo. Spetta invece alla comunità stabilire in un determinato luogo la tipicità del prodotto, attraverso la sedimentazione dell’esperienza. Il risultato non è l’omologazione ma, al contrario, l’originalità e la tipicità che sfociano in una reputazione, proprio come detta la definizione francese di terroir”.
Certo, il Pinot nero dell’Appennino è partito solo qualche decennio fa, con secoli di ritardo rispetto alla Borgogna, ma lo svantaggio può volgersi in vantaggio: adoperare menti vergini, prive di narcisismo, per costruire col tempo nuove conoscenze e contribuire così alla memoria del luogo con qualcosa di originale. Perché il punto non è imitare, sempre che sia possibile, un modello, sia pure stimato e glorioso.
“Qui nessuno vuole fare la Borgogna in Italia – scherza ma non troppo Cipriano Barsanti, presidente dell’associazione -. Le vigne stanno crescendo e anche i diffusi saperi di chi le coltiva. Tanto che il paesaggio è mutato anche nei suoi elementi umani e culturali. Oggi in questa sala ospitiamo nuovi vignaioli che nelle nostre valli hanno piantato o stanno piantando pinot anche grazie a noi. O giovani enologi, agronomi o semplici appassionati ai quali i nostri esperimenti hanno aperto strade professionali e di reddito che fino a poco tempo fa in questi luoghi non erano prese inconsiderazione. Per noi è un gran risultato”.
I vini in degustazione:
Cantina Bravi – Garfagnino Pinot Nero 2017
Casteldelpiano – Melampo Pinot Nero 2016 e 2017
Fattoria il Lago – Pinot Nero 2016
Frascole – Pinot Nero 2016
Il Rio – Ventisei Pinot Nero 2016
Macea – Pinot Nero 2017
Podere della Civettaja – Pinot Nero 2016
Terre di Giotto – Gattaia Pinot Nero 2016
Le aziende:
Cantina Bravi – Camporgiano (Garfagnana)
Stefano e Alessandro Bravi grazie alla passione a alla tradizione familiare e all’intraprendenza personale, con il favore anche del cambiamento climatico in atto, coltivano a Camporgiano nella zona sottostante il paese un ettaro e mezzo di vigneto in fase di ampliamento e hanno attrezzato una moderna cantina da cui producono vino biologico. Il loro pinot nero si chiama Garfagnino, un nome che lo lega strettamente al territorio da cui proviene. Presente nella proprietà un agriturismo e a breve verrà realizzato un progetto di ristorazione.
Casteldelpiano – Licciana Nardi (Lunigiana)
Sabina Ruffaldi e Andrea Ghigliazza, fuggiti da Milano per approdare in Lunigiana dove hanno acquistato i ruderi di un castello dei Malaspina, su una sponda del torrente Taverone. Qui hanno piantato una vigna con varietà locali e internazionali. Il loro pinot nero si chiama Melampo, come il cane di Pinocchio. Biologici, producono anche olio e miele ed ospitano nell’agriturismo dentro il castello ristrutturato.
Fattoria Il Lago – Dicomano (Mugello – Valdisieve)
Filippo Spagnoli. Proveniente da una famiglia di costruttori edili, prende un’altra strada dedicandosi alla fattoria che da piccolo ispezionava col nonno a bordo di un vecchio maggiolone. L’azienda più grande del gruppo sia in termini di superficie totale che di vigneto. Tutti i vecchi poderi sono stati ristrutturati per offrire un consistente numero di posti letto in agriturismo. Il lago è sede di gare di pesca sportiva.
Frascole – Dicomano (Mugello – Valdisieve)
Tutto ha inizio nel 1992, matrimonio e decisione di dedicarsi a dar nuova vita alla campagna di Frascole. Così Elisa Santoni ed Enrico Lippi, dicomanesi da sempre, freschi di studi agrari, iniziano a coltivare la vigna e produrre vino sulla collina che, come la prua di una nave, separa il Mugello dalla Valdisieve. Dopo qualche anno con l’aiuto di un sapiente innestino, sulle pendici fresche volte verso il Falterona, nei vecchi vigneti di famiglia sovrainnestano una parcella di Pinot nero, ma il progetto pare non crescere. La famiglia invece cresce in fretta e gli sforzi si concentrano solo su Frascole dove poi dalla stagione 2016 una vigna di Pinot nero viene loro affidata… e la storia ricomincia!
Il Rio – Vicchio (Mugello)
Manuela Villimburgo e Paolo Cerrini, detto “il maestro”. Il primo del gruppo a piantare pinot nero quasi 25 anni fa. Lei giornalista con la voglia di fuggire dalla città, lui artigiano modellista orafo (un vero e proprio artista dalla mano finissima) oltreché promessa del ciclismo. Di grande inventiva: coltiva la vite con la “biforca mugellana” e molti suoi attrezzi in vigna e in cantina sono frutto del suo ingegno. Due ettari di vigna in due corpi distinti.
Macea – Borgo a Mozzano (Garfagnana – Media valle del Serchio)
Antonio e Cipriano Barsanti (detto Cipo). Antonio ha studiato flauto traverso a Parigi e insegna musica, Cipriano, più piccolo, ha studiato enologia. Ma la vera risorsa dell’azienda è Maurino, dodicenne, figlio di Antonio, le cui gesta sono già leggenda. Anche la Macea è terra impervia, con vigne terrazzate in gestione biodinamica. Si narra che un facoltoso newyorkese all’arrivo in agriturismo arricciò il naso, ma al momento di andar via pianse dalla disperazione. Le sputacchiere sono bandite, qui il vino va bevuto.
Podere della Civettaja – Pratovecchio Stia (Casentino)
Vincenzo Tommasi (con Lucia Stefani e Alessio Puccini). Enologo, consulente per diverse aziende, cura la sua vigna come i parroci di campagna curano le anime. Sei anni fa si è preso la briga di andare a pescare uno per uno i vignaioli nelle loro valli per riunirli in una associazione, col sogno di coinvolgere altri ancora a fare della viticoltura una nuova risorsa per l’Appennino. Coltiva tre ettari di solo pinot nero, biologici.
Terre di Giotto – Vicchio (Mugello)
Michele Lorenzetti. Doppia laurea in biologia ed enologia, consulente di biodinamica per vigne e cantine di ogni parte d’Italia. La vigna, splendida, è intarsiata dentro i castagni dell’Appennino in luogo detto Gattaia (da cui il nome del pinot nero). Come alla Macea anche qui non c’è trattore, tutto viene svolto a mano con il metodo biodinamico. Il suo ultimo progetto prevede la coltivazione di una vecchia vigna e il coinvolgimento di piccoli vignaioli del Mugello per produrre assieme a loro una selezione particolare di etichette.
Manifesto dei Viticoltori di Pinot nero dell’Appennino Toscano
I Viticoltori di Pinot nero dell’Appennino toscano, mossi dalla passione per le loro vigne e per le loro montagne, trovano buona cosa collaborare assieme per raggiungere i seguenti scopi:
- migliorare la qualità dei rapporti umani, tra persone che condividono la stessa passione, sotto il segno dell’amicizia, dell’impegno, dell’onestà e della convivialità
- conoscere realtà diverse dell’Appennino toscano per aumentare la consapevolezza della propria peculiarità- effettuare scambi di esperienze, degustazioni collettive, con lo scopo di comprendere reciprocamente meglio i contorni del proprio lavoro
- condividere la pratica o il semplice interesse per l’agricoltura biologica e biodinamica e per la tutela del territorio montano
- mantenere aperta la possibilità di collaborare per unire i singoli sforzi nel settore promozionale e comunicativo
- valorizzare i prodotti degli associati, ottenuti in accordo con la filosofia dell’Associazione
- avere la possibilità di parlare con un’unica voce nei confronti delle varie amministrazioni pubbliche
- dimostrare la vocazione del territorio montano dell’Appennino toscano per la produzione di pinot nero varietale e qualitativo
- diffondere, nell’immaginario collettivo, la realtà appenninica toscana come territorio vocato al pinot nero
- creare le condizioni per realizzare un percorso turistico (artistico, culturale, storico, paesaggistico) ed enogastronomico attorno alle aziende
- organizzare regolarmente una rassegna (a rotazione nelle diverse valli montane) per promuovere i prodotti della montagna attorno al pinot nero
- favorire la ricerca scientifica e la formazione professionale legate alla viticoltura montana.
Per informazioni sull’associazione:
APPENNINO TOSCANO – Vignaioli di Pinot Nero
Sede legale c/o Comunità Montana Mugello
Borgo S. Lorenzo (FI)
vignaioliappenninotoscano@gmail.com
a cura di rocco Lettieri