L’ORO ANTICO di PANTELLERIA

L’ORO ANTICO di PANTELLERIA

 Donnafugata è la cantina che più ha creduto a Pantelleria

 

L’Isola di Pantelleria, plasmata dal fuoco e dal sole, offre itinerari stupendi tra natura e preistoria con profumi intensi di origano, menta e capperi. Figlia del mare e del fuoco, nasce negli abissi marini del Canale di Sicilia, a 2.000 m di profondità, da un magma sommerso. Un’isola geologicamente giovane, formatasi 200.000 anni fa. Sita nel cuore del Mar Mediterraneo, tra Africa ed Europa, dista 70 km dalla Tunisia e 110 km dalla Sicilia. Chiamata Hiranim dai Fenici, poi Bent-l-Riah (Figlia del vento) dagli Arabi, quindi Cossyra dagli antichi Romani.

Dott. Antonio Rallo

Molti popoli l’hanno “camminata”, in ordine cronologico: Fenici, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, ciascun lasciando tracce della propria cultura. Tutt’oggi Pantelleria conserva ancora un cuore verde, intatto: eriche giganti, ginepri, corbezzoli, ginestre spinose, rosmarini, mirti; una sintesi perfetta della cosiddetta macchia mediterranea.

Dagli arabi definita non a caso “isola del vento”, sferzata infatti da un forte Maestrale, un rafficante Libeccio, un torrido Scirocco, un più delicato Grecale e ancora il Tramontana, il Levante e il Ponente e infine il Mezzogiorno che spira da Sud e detto anche “Ostro” che si avvicendano nel corso dell’anno, senza sosta alcuna, stordendo il viaggiatore e complicando l’esistenza di chi la vive in modo permanente. I suoi abitanti dimorano in particolari costruzioni, i “dammusi”, pittati di bianco e rosa, a forma di parallelepipedo, dal tetto pianeggiate o appena bombato per consentire la raccolta dell’acqua, in cisterne interrate, frutto di sporadiche precipitazioni. Edifici contadini che oggi sono ricercati e affittati per ospitare turisti.

Un contesto pedoclimatico – venti, siccità, terreni poveri e vulcanici – che ha condizionato non poco l’agricoltura e in particolare la viticoltura, imponendo l’impiego di un alberello molto basso, semi interrato, vitato a Moscato d’Alessandria (localmente detto Zibbo), per proteggere le bacche dal sole feroce, dal vento impetuoso e per aiutare le radici a convogliare lo scarso nutrimento ai grappoli, scarsi ma di grande qualità.

Dall’accesso al mare molto complicato, reso tale sia dalla morfologia del territorio, sia dagli indigeni per proteggersi dai popoli conquistatori, quasi del tutto impervio, sassoso, difficile da percorrere, l’isola ha una lunghezza di 14 km, una larghezza di 8, un perimetro costiero di 51. Per 200 km di strade che la percorrono, alla scoperta di dammusi abbandonati, delle note coste di Mueggen, dei resti preistorici di Mursia, delle tombe di Monastero, del piano di Girlanda, sino a un piccolo bacino lacustre, protetto da un anfiteatro collinare, dalle acque calde e solforose, ricche di fanghi terapeutici, il famoso Lago di Venere.

La scoperta di un patrimonio archeo-viticolo di incredibile valore scientifico

In questo suggestivo e incontaminato scenario naturale, nel 2000 Donnafugata acquistò un vigneto abbandonato di 7 ettari (oggi gli ettari sono 73 dislocati in 13 contrade). Sotto i rovi e le sterpaglie, lo staff tecnico della cantina siciliana (guidato in quegli anni dall’agronomo Salvatore Giuffrida), scoprì un vero e proprio tesoro: delle viti antiche, curvate dal vento. Piante dai ceppi poderosi, parzialmente corrosi a causa delle difficili condizioni climatiche, dallo iodio e dalla loro stessa esistenza ultracentenaria.

In seguito a questo ritrovamento il compianto Giacomo Rallo, all’epoca patron dell’azienda Donnafugata di Marsala, decise di affidarsi a uno dei più importanti studiosi di viticoltura in Italia il dott. Mario Fregoni, in quegli anni professore ordinario di viticoltura all’università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Questo per comprendere appieno età, caratteristiche ampelografiche, stato sanitario e valore scientifico di questo inaspettato ritrovamento archeo-viticolo.

Dott. Antonio Rallo

Tale indagine scientifica condusse ad evidenze di enorme importanza. In particolare si scoprì che le piante di questo vigneto non erano innestate, ma auto-radicate e a piede franco. Quindi non erano mai state attaccate dalla fillossera. Inoltre, sezionando alcuni ceppi, grazie a sofisticate tecniche di laboratorio, emerse che queste viti dovevano avere un’età sicuramente superiore agli 83 anni, ora centenarie. Il professor Fregoni sottolineò come vigneti così antichi sono difficilissimi da individuare in Italia: solo in Sardegna a Sant’Antioco (nel Sulcis), o in Valle d’Aosta, a Morgex (ai piedi del Monte Bianco), sono sopravvissuti esemplari così vecchi.

Infatti, la longevità delle piante è fortemente ridotta dall’innesto, che fa morire una vite normale prima dei 40 anni. Un altro vantaggio della vite franca di piede è che geneticamente presenta un apparato radicale identico alla parte aerea, godendo appieno delle caratteristiche della Vitis Vinifera: forte resistenza alla siccità, al calcare, alla salinità e ai venti (ben 8) che come abbiamo letto soffiano tutto l’anno sull’isola.

Giacomo Rallo però affermò la volontà, coraggiosa e in controtendenza, di non creare, attraverso l’impiego specifico delle bacche di queste straordinarie piante, un cru specifico, un “super cru” di nicchia, ma di impiegare le uve di detti ceppi per arricchire il già straordinariamente qualitativo e apprezzato Passito di Pantelleria DOC Ben Ryé. E così fu e così la produzione continua da più di trent’anni.

Dott.ssa José Rallo

Una filosofia difficile da perseguire, ma coerente per chi ama la propria terra

Del resto questa scelta era – ed è – in linea con gli obiettivi di Donnafugata concernenti il suo approccio vitivinicolo pantesco: creare grandissimi vini, partendo dalla valorizzazione del sodalizio esistente tra l’enorme potenziale viticolo presente nell’isola, basato quasi esclusivamente su vigneti molto adulti e le eccezionali condizioni pedo climatiche pantesche. Le difficoltà di un progetto di questo tipo stavano (e stanno) certamente nella ricerca dell’equilibrio tra le migliori e più attuali tecniche viticole e una tradizione isolana che è stata plasmata nei secoli dalle particolari condizioni climatiche dell’isola, e di cui bisognava certamente fare tesoro per evitare clamorosi errori di valutazione. Questo perché in un ambiente estremo, le considerazioni da fare sono molteplici, le variabili da considerare e “far quadrare” sono innumerevoli, tanto da rendere estremamente complesso il raggiungimento di un equilibrio tra vigneto, clima, suolo, tecniche colturali, vino ed economie di gestione.

Ciò ha indotto Donnafugata a concentrarsi sulla valorizzazione e il recupero di vigneti già esistenti del vitigno Zibibbo (più propriamente detto, Moscato di Alessandria), testimoni di un’antica e gloriosa attività viticola isolana, così da assicurarsi una base di prodotto, nel suo complesso, di elevatissimo valore qualitativo per la produzione dei vini moscati e passiti. Il tutto, nonostante oggi tale attività agricola risulti drasticamente ridotta rispetto a quella esistente sino al secolo scorso; ciò proprio per le difficoltà di domare agronomicamente l’isola, per gli elevati costi (si pensi ad esempio alla raccolta dei capperi, faticosa estenuante, che solo pochi e coraggiosi produttori non hanno mai abbandonato). Queste condizioni hanno spinto i contadini panteschi, i più, dapprima ad abbandonare questo lembo di terra circondato dal Mediterraneo, per poi tornarvi più per intraprendere attività nel settore turistico che in quello dell’agroalimentare.

Ma non è stato così per Donnafugata, e per pochi altri coraggiosi e validi produttori, in genere piccoli artigiani del vino, che hanno proseguito con coraggio e perseveranza a credere nel potenziale dell’uva pantesca, particolarmente in quello delle bacche ottenute da vigne vecchie (oltre i 50 anni), che garantiscono un equilibrio vegeto-produttivo raggiungibile solo dopo molti anni di convivenza della pianta col terroir nel quale dimora, col risultato finale di uve di grandissima qualità e pertanto di vini dolci, concentrati, complessi, passiti, da potersi bere sia giovani che con diversi anni di affinamento in bottiglia che già alla vista inebriano con il colore dorato lucido e brillante e profumi di indicibile e complessa fruttuosità mediterranea sia fresca che appassita al sole, quel sole che solo a Pantelleria ha quel caldo ventilato e profumato di erbe aromatiche mediterranee.

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Testi e foto di Rocco Lettieri